Memorie dalla Zona - Giorno 3 (terza parte)

con questa parte mi prendo una lunga pausa, ho pensato a lungo se pubblicarlo o no, sento di essere scaduto nella violenza gratuita e non era questo il mio obiettivo (anche se mi sono divertito parecchio nella scrittura di questa sezione, il che non è sano). Mi prenderò una lunga pausa per raccogliere le idee e continuare. Buona lettura.

-Madness-

(terza parte)

Mi risvegliai con un gran mal di testa, mi guardai intorno e vidi una stanzetta in penombra chiusa con rottami di inferriate e recinzioni metalliche, una rudimentale prigione. Accanto a me c’era l’Italiano, seduto all’angolo della stanza.
“Dove ci troviamo?”
“Nell’arena dei banditi”
“Cosa?”
“Questo è  un vecchio hangar ferroviario, i banditi se ne sono impossessati e lo hanno trasformato in un’arena dove combattono per soldi. Non sarebbe un problema finché si ammazzano tra di loro, purtroppo questi barbari di tanto in tanto catturano gli stalker che attraversano la zona e li costringono a combattere”
“Come funziona?”
“Immagino che sia come nell’arena del bar, ci sono due o più combattenti, viene data loro un’arma e quello che esce vivo dallo scontro vince.”
“Ma sono impazziti?”
“No, è solo un modo come un altro di fare soldi nella Zona, ho frequentato un po’ l’arena del bar, c’era un sacco di gente che scommetteva, le scommesse rendevano bene. Non hai idea di quanto sia popolare, arrivava anche gente da fuori per scommettere e combattere, una volta ho visto un epico scontro tra un gruppetto di soldati Spetsnaz e agenti della OMON, uno scontro veloce e brutale, erano in tre per parte e si sono quasi sterminati a vicenda. Alla fine è sopravissuto solo uno Spetsnaz ed era conciato piuttosto male ma immagino che la superiorità dell’addestramento abbia fatto la differenza”
“Non ho idea di che cosa stai parlando” dissi.
“Gli Spetsnaz sono i corpi speciali nell’esercito russo. La parola non indica un preciso corpo fondato a quello scopo ma solamente delle “unità speciali”, infatti in lingua russa si usa questa parola per indicare i corpi speciali di tutte le nazioni. La OMON invece è l’unità anti terrorismo della polizia, anche qui il termine è generico perché indica il gruppo speciale di intervento all’interno di un comando di polizia, un po’ come la SWAT americana. Entrambi i corpi speciali sono famosi per gli interventi veloci e precisi, anche se spesso hanno portato alla morte sia dei terroristi che degli ostaggi.”
“Ok. Il punto è: perché ammazzarsi a vicenda? Non capisco. Questi poi venivano da fuori”
“Nella Zona non ci sono regole, ognuno è libero di fare esattamente quello che vuole, in questo contesto emerge la vera natura umana e la violenza può scoppiare in qualunque momento. E’ utile incanalare la violenza in qualche modo e l’arena è l’ideale per questo. Per quanto riguarda quelli che vengono da fuori ritengo che una tale libertà di uccidere senza conseguenze  attiri gente deviata o attratta dalla violenza. Infatti buona parte della popolazione degli stalker è composta da criminali condannati”
“Tutto ciò è assurdo”
“No, è solamente umano”
“Lasciamo perdere. Piuttosto, che facciamo? Siamo prigionieri qui, dovremmo tentare di scappare, non vorrei fare una brutta fine”
“Sono d’accordo, però non ho idee. Non conosco il posto e scommetto che anche se riuscissimo ad uscire dalla cella ci troveremmo davanti un esercito di banditi.”
“ Se sono tanti magari con un po’ di fortuna potremmo riuscire a confonderci tra la folla.”
“Ne dubito, tu ancora non lo sai perché non ne hai mai visti ma tutti i banditi sono vestiti tutti allo stesso modo, pantaloni blu, giubbotto di pelle nera e passamontagna”
“Davvero? Sono vestiti tutti uguali? Perché?”
“Forse per un senso di appartenenza, o per non farsi riconosce, oppure magari è una spersonalizzazione per eliminare la volontà del singolo e fare branco, chi lo sa.”
“Tutto ciò è assurdo. Comunque, se rimaniamo qui a parlare non concluderemo niente e perderemo solo quel poco tempo che ci separa dalla nostra probabile morte, quindi direi che è ora di muoverci”
Mi alzai e mi diressi verso le sbarre, la prigione era stata costruita in maniera artigianale ma con perizia, le grate erano state avvitate nel muro e dubitavo che un uomo da solo avrebbe potuto smuoverle. Osservai la porta e anche quella sembrava piuttosto robusta, si muoveva però su normali cardini che forse con un po’ di pazienza ed abilità avrei potuto sfilare. Stavo per dirlo all’Italiano quando udii dei passi avvicinarsi, mi allontanai in fretta dalla porta e mi appoggiai al muro. Si avvicinò un uomo che corrispondeva perfettamente dalla descrizione dell’Italiano, jeans, giubbotto e passamontagna.
“Hey tu novellino, vieni con me, tu e un altro sprovveduto sarete i protagonisti del prossimo combattimento, tu invece rimani bello tranquillo qui, il capo ha altri piani per il dottorino” disse ridendo.
Aprì la porta della cella con una pistola in mano, decisi che per il momento era meglio assecondarlo, uscii dalla cella e proseguii lungo il corridoio. Arrivammo in uno stanzino, una sorta di anticamera in cui si aprivano tre porte, la guardia mi fece sedere.
“Rimani qui e non fare scherzi” mi disse.
Si chiuse la porta dietro di sé ed uscì dalla porta di fronte. Io mi sedetti su un vecchio sgabello dall’aria poco solida. Subito la porta si aprì di nuovo e la guardia mise dentro la testa.
“Ah, mi devi dire qual è il tuo nome”
“Perché dovrei?”
“Senti, facciamola semplice, tu ora mi dici il tuo nome e rimani tranquillo finché non ti chiamano, altrimenti sarò costretto a fartelo dire con le cattive e scommetto che tu non vuoi affrontare una sparatoria subito dopo essere stato pestato a sangue, vero?”
Non era il caso di farlo irritare ulteriormente.
“Ok. Mi chiamo Smemorato”
“Smemorato?”
“Si, ho perso la memoria e adesso mi chiamano così”
“Va be’, non è il peggiore dei nomi che ho sentito fin’ora” ed uscì.
Io rimasi solo con i miei pensieri per un tempo che mi parve lunghissimo. All’inizio non ci feci caso ma poi ad un certo punto notai dei rumori, un vociare che si faceva sempre più forte, la intorno doveva esserci una gran quantità di gente. Tornò la guardia accompagnata da un altro bandito. Quest’ultimo mi porse una pistola mentre la guardia mi teneva sotto tiro.
“Una piccola precauzione nel caso tu volessi fare qualche scherzo.” Mi disse “Le regole sono semplici, dovrai affrontare un avversario equipaggiato esattamente allo stesso modo, se sopravvivi sarai libero di andartene. Tutto chiaro?”
“Si.”
“Bene, allora vedi di non suicidarti prima che ti venga aperta la porta e buona fortuna. Ah, cerca di dare un po’ di spettacolo”
Se ne andarono e io rimasi di nuovo solo a pensare. Osservai l’arma che mi avevano fornito, una pistola come quella che mi ero portato, anzi con tutta probabilità era proprio la stessa arma che mi aveva dato l’Italiano qualche giorno prima. Pensai di usarla in qualche modo ma le pareti di cemento e le porte d’acciaio sembravano piuttosto robuste. Non c’era niente che potessi fare se non affrontare il mio destino, mi aspettava il mio primo scontro a fuoco in solitaria. Cercai di guardare il lato positivo, questo era il vero test per capire se ero in grado di sopravvivere nella Zona, se fossi morto almeno sarebbe finito tutto in fretta. Una voce amplificata gracchiò
“Benvenuti a questo nuovo combattimento! Oggi abbiamo due novellini in cerca della libertà, da un lato Val, costretto a combattere per saldare un debito, mentre dall’altro lato c’è lo Smemorato, un misterioso stalker che ha tentato di penetrare di nascosto nel nostro territorio. Chissà se sarà più fortunato dei suoi compagni? Preparatevi, il combattimento sta per cominciare. 5… 4… 3… 2… 1… Si comincia!”

Si aprì la porta davanti a me, corsi fuori e mi cercai un riparo. L’arena era al centro dell’hangar, c’erano due binari con diverse carrozze e qualche pila di materiale nel mezzo. Il corridoio centrale era il punto giusto dove beccarsi una pallottola in faccia perciò rimasi vicino al bordo passando da un riparo all’altro. Non solo dovevo cercare di sopravvivere ma avrei dovuto cercare di parlare con il mio avversario, si chiamava Val proprio come lo stalker che stavamo inseguendo e non credevo fosse una coincidenza, sicuramente era lui la persona che cercavo.
Mi accostai ad una carrozza rimanendo vicino al carrello, guardai sotto per vedere se spuntavano due gambe, il mio avversario doveva avere fatto il mio stesso pensiero perché appena sporsi la testa dal nascondiglio udii uno sparo prima ancora di vedere una figura umana correre via. Stava cercando di aggirarmi, mi allontanai in fretta dalla carrozza e mi riparai dietro un cumulo di rottami di ferro, appena in tempo per schivare un altro proiettile.
“Hey tu, Val, ascoltami”
“Zitto e combatti”
Misi fuori la testa per vedere dov’era il mio avversario ma lui aspettandosi questa mossa mi sparò di nuovo, per fortuna aveva una pessima mira. Corsi via dal riparo verso un’altra carrozza, lui esplose un altro paio di colpi mentre io mi nascosi dietro ad un paio di barili. Era troppo aggressivo, forse mi sarebbe bastato aspettare che finisse le munizioni, Estrassi il caricatore dalla mia pistola e contai otto proiettili, io avevo il caricatore pieno mentre lui aveva già esploso cinque colpi, se ero fortunato aveva una pistola uguale alla mia, se riuscivo a fargli sparare altri tre colpi forse avrei potuto avvicinarmi abbastanza per riuscire a parlargli.
Speravo di poter sentire i suoi passi ma ero disturbato dalla massa di balordi che urlavano seguendo il combattimento, solo in quel momento notai che tutto intorno all’arena a due metri da terra c’erano una sorta di spalti dove molta gente ci stava guardando da dietro una grata.
Avevo indugiato anche troppo, guardai oltre  il barile e lo vidi particolarmente vicino, sparai un paio di colpi per coprirmi e corsi via, sparò anche lui e con un colpo fortunato mi prese l’avambraccio sinistro, cercai di resistere al dolore e mi misi al riparo. Sapevo di avere poco tempo, estrassi una benda da una tasca, la avvolsi intorno alla ferita e la annodai aiutandomi con i denti, era il massimo che potevo fare sul momento.
Uscii allo scoperto, pistola in mano, per cercare di intimidirlo, se avevo contato bene aveva esploso altri due colpi perciò ne rimaneva ancora uno, mentre io ne avevo ancora sei, solo in quel momento pensai che se avesse avuto un altro caricatore tutto il mio piano sarebbe stato inutile.
Lo trovai a terra, seduto contro la ruota di un vagone, mentre si stava premendo una benda su una ferita all’addome, dunque lo avevo preso. Quando mi vide alzò la pistola e sparò un colpo che andò a vuoto, il carrello dell’arma semiautomatica rimase aperto, segno che aveva esaurito le munizioni, quando il mio avversario la vide si mise a ridere e gettò via l’arma.
“Hai vinto. Sei contento? Ora finiscimi”
“Non ho intenzione di ucciderti”
“Ah no?”
Intanto la folla si era fatta più rumorosa e urlava “UCCIDILO! UCCIDILO!”
“No, se posso evitarlo. Ho bisogno di sapere una cosa. Tu sei lo stesso Val che ieri si trovava al cordone ed ha venduto un palmare al trafficante?”
“Come fai a saperlo?”
“Quel palmare era mio”
“Impossibile, l’ho raccolto da un cadavere”
Sentii delle urla e degli spari provenire da lontano, la folla iniziava ad agitarsi.
“Non abbiamo molto tempo, mi serve sapere se hai ancora con te la scheda di memoria che hai tolto dal palmare”
“Si, ce l’avevo con me ma i banditi mi hanno tolto tutto l’equipaggiamento”
Le urla si fecero più forti sentii distintamente i colpi di armi automatiche, vidi i banditi sugli spalti iniziare a correre mentre altre persone gli sparavano addosso.
“Sta succedendo qualcosa” dissi “vieni, forse riusciamo a salvarci da questa situazione”
“Non riesco a muovermi”
“Vieni, aggrappati a me”
Misi via la pistola e raccolsi Val da terra. Con il mio sostegno ci avvicinammo ad una delle porte di entrata dell’arena. Fuori intanto si scatenava il finimondo, gli aggressori avevano quasi sterminato i banditi e quei pochi che ancora resistevano stavano cadendo come mosche. Non sapevo se una volta finita la battaglia sarebbero stati ostili con noi e non volevo di certo verificarlo.
Ad un certo punto udii una voce familiare urlare
“BOGDAN! PEZZO DI MERDA! VIENI QUI E FATTI AMMAZZARE!”
Sentii altri colpi, una finestra in alto venne rotta e vidi un uomo cadere a terra a pochi metri da noi. Io e Val rimanemmo fermi ad aspettare, qualche momento dopo la porta vicino a noi si aprì e ne uscirono un gruppo di stalker molto ben armati tra cui c’era anche Sergey.
“Sergey! Sei ancora vivo!”
“Si ragazzo, siamo venuti a salvarvi.”
Dietro di lui entrò l’Italiano che si avvicinò appena mi vide
“Come stai?”
“Io bene, ma lui è ferito”
“Ci penso io”
Estrasse uno di quei reperti pezzo di carne e lo premette contro la ferita di Val.
“Ecco, tienilo così, questo dovrebbe aiutare. Il proiettile è ancora dentro?”
Ora che c’era l’Italiano ad aiutarlo lasciai Val e mi avvicinai a Sergey.
“Credevo fossi morto”
“Non sono stato ferito in modo serio. Aleksey invece è morto” Vidi una profonda tristezza nei suoi occhi “e tutto per colpa di questo stronzo! Non è vero Bogdan?”
Avevamo raggiunto l’uomo che era caduto dalla finestra in alto, nonostante il volo era ancora vivo e adesso era disteso a terra, tenuto sotto tiro dagli stalker.
“Tu e i tuoi amichetti avete finito di terrorizzare questa zona, la discarica ora torna in mano ai Freedom”
Disse uno degli stalker meglio equipaggiati.
“Lukash, ricorda il nostro patto” disse Sergey.
“Certo, questo stronzo è tutto tuo adesso” rispose l’altro.
“Allora Bogdan, come ci si sente ad essere braccati. Non è una sensazione piacevole, vero?”
“Fottiti”
“Hai ancora il coraggio di fare il gradasso? Prendi questo!”
Gli esplose un colpo di doppietta in pieno petto. Avevo già visto gli effetti di quell’arma, i pallettoni maciullavano la carne senza troppo sforzo ed un colpo così ravvicinato sarebbe stato letale per chiunque, eppure Bogdan era ancora vivo.
“Non ci posso credere” mormorai.
“Vedi Smemorato, il motivo per cui questo stronzo è ancora vivo nonostante sia da anni in cima alla lista degli stalker da ammazzare a vista è che ha una tuta speciale, non è vero?”
“Va all’inferno!” disse gorgogliando e sputando sangue, nonostante tutto aveva risentito del colpo, eccome.
“Ma sta zitto” ed esplose un secondo colpo, questa volta alle gambe.  Bogdan cacciò un urlo di dolore, Sergey ricaricò l’arma mentre mi parlava.
“Vedi, da come si comporta penso che questa tuta all’interno sia completamente ricoperta di pezzi di carne e reperti simili. Questo vuol dire che può rigenerarsi in maniera quasi istantanea, però questa soluzione non lo salva dal dolore, osserva.”
Con un piede gli tenne fermo un braccio, mirò alla mano e fece fuoco. Bogdan urlò di nuovo, io rimasi esterrefatto nel vedere che la mano si stava ricomponendo e rigenerando, in pochi secondi si era riformata una nuova mano. Non riuscivo a credere ai miei occhi.
“Visto? Ciò che ti tiene in vita è anche la tua condanna Bogdan, ora mi divertirò a ferirti finché in preda al dolore straziante non mi pregherai di ucciderti”
“Basta così Sergey, lascialo stare” disse l’Italiano che intanto ci aveva raggiunto.
“Non ti intromettere, questa è la mia vendetta”
“Direi che ha sofferto abbastanza”
“Che ne sai tu? Hai idea di quanta gente sia morta per mano sua o per un suo ordine? Per colpa sua mio fratello Aleksey è morto” disse con le lacrime agli occhi.
“Ti capisco, dagli il colpo di grazia e finiamola qui, non abbassarti al suo livello”
“Non ho bisogno della tua pietà, dottorino” riuscì  pronunciare Bogdan
“Bastardo fortunato, sprezzante fino alla fine? Ringrazia l’Italiano che ti concedo una morte veloce. Vedo che ti rigeneri molto in fretta ma scommetto che se provocassi un danno esteso ad un organo fondamentale come il cervello moriresti anche tu, che ne dici?”
“Fa quello che devi fare” sussurrò.
Sergey puntò la doppietta alla testa di Bogdan e fece fuoco da entrambe le canne, io distolsi lo sguardo appena in tempo, quando tornai a guardare la testa di Bogdan non c’era più, venni colpito da un attacco di nausea e mi allontanai.

Era ormai pomeriggio inoltrato, Val non si poteva muovere e l’Italiano voleva cercare di estrargli il proiettile, così decisi che era meglio passare la notte li. Diedi una mano agli stalker a dare una pulita, raccogliere tutti gli equipaggiamenti e fortificare l’area. L’hangar era chiuso da un robusto muro di recinzione, le uniche entrate erano un grande cancello sulle rotaie ed uno più piccolo per mezzi e persone. Quando finimmo la maggior parte degli stalker se ne andarono, rimasero solo un piccolo gruppetto incaricato di proteggere l’hangar. Io Sergey e Lukash ci sedemmo attorno al fuoco.
“Come hai fatto a cavartela?” chiesi a Sergey.
“La mia tuta è parzialmente corazzata, sulla schiena e sul petto ho lamine metalliche cucite nella stoffa, sono state sufficienti a fermare il proiettile di piccolo calibro che mi hanno sparato, purtroppo però sono ben poche le corazze in grado di fermare un proiettile di AK, è per questo che Aleksey è morto”
“Cos’è successo dopo? Come mai voi Freedom avete attaccato questo posto?”
“Era un’azione che pianificavamo da tempo” disse Lukash “sapevamo che oggi ci sarebbero stati una serie di combattimenti che avrebbero attirato una gran quantità di banditi, ci stavamo radunando vicino alla pozza tossica, un laghetto letale poco lontano da qui, quando vedemmo passare il tuo amico. Venne verso di noi e ci raccontò che cosa gli era successo, noi gli parlammo dell’attacco imminente e ci chiese di venire con noi per potersi vendicare di quel bastardo di Bogdan.
Quegli idioti erano così sicuri di sé che non si aspettavano di certo un attacco, a proteggere l’arena c’era solo un bandito alla porta, lo abbiamo ammazzato facilmente e siamo entrati. Il resto lo hai visto, abbiamo fatto piazza pulita e finalmente la discarica è tornata ad essere un luogo sicuro, radiazioni a parte ovviamente.”
Brindammo alla nostra salute e rimanemmo in silenzio per un po’. Lukash se ne andò e rimasi solo con Sergey.
“Qual è la tua storia Sergey, come mai tu e tuo fratello siete finiti nella Zona?”
“La nostra storia è sempre stata legata a Chernobyl, la mia famiglia abitava in un piccolo paesino al confine tra Bielorussia e Ucraina, eravamo semplici contadini ma vivevamo decentemente, o almeno ho buoni ricordi della mia infanzia. Quando ci fu l’incidente nella centrale io avevo sei anni e Aleksey ne aveva tre, fummo costretti ad abbandonare le nostre case per via della nube radioattiva che già ci aveva contaminato. Ci trasferimmo a Mazyr, una città più a nord e tutto tornò a scorrere come prima, tranne per il fatto che la contaminazione si fece sentire. Qualche anno dopo nostra madre rimase di nuovo incinta ma nostra sorella non vide mai la luce, abortì spontaneamente dopo pochi mesi e le asportarono l’utero, un medico le disse che  era meglio così, se fosse rimasta di nuovo incinta sarebbe potuto accadere di nuovo, aveva già visto diversi casi simili dai profughi di Chernobyl.
Nel 1990 l’unione sovietica cadde e le cose iniziarono a girare decisamente meglio, mio padre aprì un piccolo negozio di alimentari e per molto tempo vivemmo felici di quello che avevamo. Quando fummo grandi io e mio fratello iniziammo a lavorare nel negozio, poi qualche anno dopo i nostri genitori morirono a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, così rimanemmo soli a mandare avanti il negozio.
Tutto precipitò nel 2009, un giorno si presentò da noi uno strano tipo dicendo che le cose stavano cambiando nel quartiere, che la gente non si sentiva più sicura e che forse avremmo avuto bisogno di protezione. In pratica era venuto a chiederci il pizzo, noi rifiutammo e lo cacciammo. Qualche giorno dopo il tipo si ripresentò con altri due compari, questa volta ci minacciò che se non pagavamo sarebbe stato peggio per noi, io allora mi arrabbiai e tirai fuori il vecchio AK di mio padre, loro tirarono fuori a loro volta le loro armi ma non si aspettavano che io sparassi veramente. Li ammazzai senza pietà, solo dopo capii che cosa avevo fatto. Quello che avevo fatto era grave non tanto per il reato in sé ma perché ero sicuro che prima o poi me l’avrebbero fatta pagare.
All’epoca iniziavano a circolare parecchie notizie su cosa stava accadendo in questa zona così io e mio fratello decidemmo di scappare qui, non avevamo niente che ci legava perciò non fu difficile abbandonare tutto. Ormai sono quattro anni che siamo qui, ce la siamo sempre cavata fin’ora. E’ proprio vero che la morte può raggiungerci in qualunque momento. A mio fratello”
Alzammo le bottiglie di vodka e brindammo. Poco dopo ci raggiunse anche l’Italiano che mi rassicurò sulle condizioni di Val.
“Sono riuscito ad estrarre il proiettile, grazie al pezzo di carne per domani dovrebbe essere guarito. Ora l’ho lasciato a riposare, mi ci è voluto parecchio lavoro perciò l’ho fatto ubriacare”

Rimanemmo tutta la notte attorno al fuoco facendo dei turni per dormire, a me toccò l’ultimo turno così mi addormentai poco prima dell’alba.

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