Come le canzoni tristi quando fuori piove...
-“Piove!”- fece lei quasi stupita
-“No, io non la chiamerei pioggia, più che piovere è il
cielo che sta piangendo” – fece il ragazzo allungando il braccio destro verso
la finestra coperta da un leggero strato di condensa.
Mentre lui le faceva notare questa sottile differenza, con
il braccio teso pasticciava col dito il vetro bagnato abbozzando una sagoma
stereotipata di un cuore o una mela.
Affondava il polpastrello nel vapore acqueo e un altro invece
nel ombelico della sua compagna di letto.
Erano distesi lì immobili in quel letto d’occasione protetti
da una cornice calda ed accogliente, caldo come il termo che a pochi centimetri
sputava aria e polvere senza colore e tutto quel calore era accentuato dalla
sensazione visiva di quelle gocce ghiacciate che sanguinavano sulla finestra
con il vano tentativo di entrare.
Avevano appena fatto sesso, ed era iniziato il momento dell’effusioni
ancora stonati dall’orgasmo, si
coprivano a vicenda da finti abbracci di circostanza, finti non perché falsi ma
perché leggeri, leggero come tutto ciò che è volatile,senza peso, senza senso
profondo, come quel consueto dessert che
ci viene proposto per completare ed abbellirci dopo la grande abbuffata. In
fondo erano solamente complici.
Non c’era niente di più bello di sentirsi e passarsi a
vicenda la propria nudità e con essa il tepore dei corpi ancora bollenti dopo
l’atto, e poi tirarsi le coperte fino agli occhi, far finta di scomparire dal
mondo, per un po’.
La pioggia cadeva continua sul tetto di quel soffitto al
quinto piano e oltre la finestra si poteva vedere tutta Venezia, dal ponte al
mercato, dal campanile all’ospedale e lì fuori migliaia di inutili ombrelli che
intasavano la città e le sue piccole arterie, ombrelli bucati, incidentati dopo
scontri nel traffico dei passanti troppo impegnati a dare un senso al loro
esistere con una brioche al bar, due mantovane dal panificio e due etti di
prosciutto al discount.
Non si sa per quale arcano mistero la pioggia rende la nostra
realtà così sonnolenta, così immobile, così in fase di profondo decadimento
verso quell’ennesima ed ipotetica ultima fine che proprio perché ultima verrà
sciacquata così bene,così intensamente, abbellita ad hoc in cerca di un giorno
in più pulito che verrà, magari domani.
Seminudi continuavano a strusciarsi fra loro per ingannare
il tempo, disegnandosi con gli alluci delle sinusoidi scorrette sulle gambe e
non importava se tutto ciò non avesse un senso, tutto così senza ruoli e senza
impegno, d'altronde se non fossero stati loro due sarebbero stati altri due,
una coppia messa li dalle circostanze più o meno futili. Non importava nulla,
loro lo facevano e basta perché ci sono cose ed azioni nella vita che si fanno
non importa in quali vesti, con o senza vestiti e tra queste cose soprattutto
il sesso, soprattutto a Venezia, e ancor di più a Venezia sotto la pioggia che
si riempiva di un ancor più sublime fascino.
E poi c’erano le travi in legno, e poi c’era quel alone di
cuor di mela che stava scomparendo lasciando la vista della città inzuppata e
pronta ad essere strizzata da un ennesimo stormo di gabbiani con le loro zampe
enormi, quello stormo che va e viene continuamente dalla discarica al mare e
viceversa.
“Ora si che sta piovendo sul serio?!..la senti come batte sui
coppi?” fece lei spezzando il silenzio.
“Si”- fece lui.
“Ora piove sul serio, cade forte senza pietà e senza dio; ma
non mi stancherò mai di immaginarmi questa pioggia come un mare fatto a pezzi e
sparso su di noi. Queste sono secchiate di pianti, nostri e del mondo, sono
lacrime del passato che ci abitano dentro, è il dolore di una vita che è
altrove e che poteva nascere ma che non
è mai nata e mai nascerà!”.
Stanchi della vita ripresero a fare l’amore strofinando le
loro anime annoiate per accendere qualcosa, per creare una sensazione, per sentire una scarica elettrica, per
vincere quelle secchiate di malinconia; e avrebbero potuto continuare a farlo
finchè l’acqua non avesse aggiunto quel quinto piano, finchè il disegno sul
vetro non si fosse completamente evaporato, finchè quell’ansimare di piacere e
di rivolta non avesse sorpassato il volume di quel ticchettio di lacrime di
pioggia sul legno delle serrande.
Quel ticchettio così
affascinante che sembra che ti culli ma che poi ti vuole soltanto ingoiare.(cit
Afterhours- oceano di gomma)
AUTORE: Cincinnatus senza ombrello
Commenti
Posta un commento