Centrifuga

Il titolo dello scritto e la frase finale si riferiscono ad una canzone dei Verdena (appunto Centrifuga) alla quale va la mia più sentita stima e venerazione. Volevo puntualizzarlo. Il resto è nausea che mi scorre dentro, è una febbre che sale e scende quando vuole lei.
Non ho mai sentito questo tipo di sensazioni cosi cupe e crude in 25 anni e cosi non potevo non scrivere, ed è uscito tutto ciò puro nichilismo pura disillusione di ogni cosa circostante, leggete e prendetevi queste cinque nocche nella pancia.

CENTRIFUGA

Lasciai per qualche giorno l’isola e la stanza veneziana che mi garantisce stimoli vitali per 300 euro al mese, per  tornarmene nel paesino di sempre con l’intento di fare due forse tre centrifughe che sapessero da  mughetto e di pulito.

Erano i giorni della merla, i più freddi.

E poi arrivò un martedi, mi vestii di nero a lutto, tutto in nero con le occhiaie scure in cerca dei miei doveri e di nuove banconote da spendere.
Presi la macchina nera, sul volante non c’erano più le mie impronte e dentro polvere di passato incastrata nelle corsie dei sedili, impregnata di fango e foglie nei tappetini umidi di pioggia.
Una volta era una macchina tenuta bene, la mia macchina, con tonnellate di mp3 appena scoperti, incisi su CD vergini senza titolo che scottavano dall’eccessivo utilizzo.
Loro erano preziosi compagni di viaggio, che mi facevano cantare con gusto; cantavo e mi scorrevano nel vetro vite di una volta, case, percorsi, vie, numeri civici e campanelli da suonare per sentirti dire come e dove parcheggiare l’auto. “si lì va bene”.

E mentre andavo per queste solite stradine vedevo baci sul collo e poi sempre più giù dentro stanze invernali senza termi, e poi piedi scalzi congelati che zampettavano alle 5 di mattina in cerca di un  bicchiere d’acqua verso cucine più o meno organizzate.
L’acqua freddissima dei bidet anche d’estate e la doccia a casa dei suoi (o dei loro) dopo il sesso, o le eterne domeniche aggrappati ad un divano perdendo gli occhi dentro ad un tubo catodico; e poi il collo dolorante appoggiato troppe ore al bracciolo ma quel profumo tra i capelli lisci era tutto.

Si schiantavano nel parabrezza parti molli, ero investivo da intestini tenui spappolati dall’ansia, cuori andati a male, biglietti aerei, lentiggini e trecce di capelli, boccette di profumi da 60 euro, le creme abbronzanti, perizomi regalati a natale e ai compleanni.
Tutto mi si sbatteva addosso non vedevo più la strada, soffocavo di sangue e sabbia, e le spazzole dell’auto portavano via tutto in un attimo tutto scompariva ai lati della mia vista scivolando, senza nemmeno poter distinguere tutti quei pezzi di vita macellati dal tempo.

M stavo dirigendo in paese per prelevare soldi dalla banca, quella banca con cravatta  e canini luccicanti, ed ogni volta che confermo la transazione perdo chili e linfa buona.

Con i polsi forati dai canini, cambio rotta verso l’ottico. E poi la solita confezione di lenti a contatto, investo 18 euro con fare vacanziero, con la speranza che mi aiutino a vedere meglio e con acqua confortevole i giorni che mi restano. E penso: “pensa quanto soldi spesi in 10 anni per vedere nitida questa realtà? per poi accorgermi che tutto è sempre uguale… e proprio per questo tutto potrebbe cambiare. Ma niente e nessuno qui in questi paesi sembra mostrarsi portatore sano di svolta.”

Ma io ho un difetto, vado e guido a 40 km orari per le strade e trasformo questo cazzo di paese in un altro cazzo di paese; questo paesino col camice bianco da gastronomia, molle, lobotomizzato, malato di stasi, di bar cinesi, di autoarticolati e di discorsi non articolati sotto dialetti fastidiosi.

Sento falsi suoni di progresso racchiusi in un cellulare da 600 euro o imbrigliati in quel cerchione in lega del SUV scintillante dell’assessore che ha appena parcheggiato, o nelle farmacie con le loro pillole del cazzo miracolose che distruggono i reni, farmacie come ultime ancore di salvezze per i discepoli del dottore di base, venerato come un dio.

Vedo solo zombie che si muovono, come quelle vecchie senza età e senza sesso con i visi distrutti dai telegiornali che sfoderano dal fruttivendolo la loro modesta lista di desideri…1 hg di carote, 1 cappuccio, 3 mele;  e poi le grandi orde di persone che in adunate oceaniche si stringono attorno alle sagre, agli ossetti, alle giostre ma prima ancora alle cerimonie ecclesiastiche.

Aggregazione e socialità programmata dal prete con la sua lingua lunga che usa come frusta per arrivare fino alle ultime file della sua chiesa misericordiosa ma riscaldata e glassata in oro.

I teenager dietro alla parrocchia che fumano hashish e bestemmiano e il prete che continua a ricattarli cercando di plagiarli ad una vita di amore fede e bontà ed astinenza di vizi in cambio di un viaggio low-cost in paradiso con Ryan Air.

Ed intanto la mia macchina va, consumando l’asfalto per l’ennesima volta, la macchina raffreddata barcollava con le ruote e l’umore a terra.
Era soltanto una macchina ma sembrava un barchino, e la mia anima cercava un ‘evasione, un tuffo a mare, ma c’era da scegliere solo tra fossi più o meno affollati da raduni di cani e mangrovie.

Seduto su questo sedile con un antico alone di mozzarella di pizza, ripenso al mio valore, vendo le mie ore a 6 euro, i miei turbamenti a 10, i miei zigomi a 20; ripenso al mio fisico e le braccia sempre più magre e il naturale sfaldamento del corpo con muscoli rattrappiti e tendini cigolanti e le spalle che si chiudono al mondo sempre più.
Ripenso ai miei scritti e alla poesia estremamente pessimista e decadente che mi cola dal naso, tutto ciò è un fusto di pannocchia che mi si conficca nella pancia. Pubblicatemi, pubblicate questa miseria che mi fa dimagrire nel vostro bigotto giornale mensile di paese.

Cinque nocche bianche dritte allo stomaco e smetti di respirare.

Per la prima volta in vita mia sentii in quel momento il bisogno istintivo di un Gin Tonic, ero al posto di guida ma mi lasciavo guidare; alle dieci e mezza il mio corpo chiamava a sé alcool per sublimare le mie alte maree interiori, per poter semplicemente dimenticare, spegnere tutto, perdermi…finirmi.

Volevo un drink, volevo correre da lei per dare un senso al mio guidare, volevo prenderla, annusarla e fare l’amore come dio comanda.

Non c’è nulla da capire, sono solo i miei martedi neri, tra isola e non isola, tra azione e riproposizione, tra la cicala e la formica, tra credere e non credere di potercela fare.

Non so come si fa a distinguermi tra i calzini e le mutande sudate dai giorni. Sono anch'io intrappolato dentro a questa centrifuga senza fuga, convinto che in fondo tutto e' cosi semplice ed inutile.


Cincinnatus

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