Il cimitero delle navi

La Luna alta, le nuvole buie e rapide, l'eco della risacca del mare, la sabbia scivola nel vento che accarezza le piccole dune di questa spiaggia mediterranea, spersa in questa notte chiara di primavera.
Il profumo di mirto e sale screzia il vento e m'attraversa, la luna ancora alta, la marea bassa.
Nella secca all'interno della baia vi è un cimitero di navi, alcune piccole altre imponenti. L'odore del legno marcio misto alle alghe che le ricoprono, i colori brillanti delle vernici ormai scrostate dal salso, le sagome spettrali di questi relitti abbandonati, che un tempo solcavano i mari incuranti del sole e della tempesta ed ora qui immobili tra i cordami e le conchiglie.


Sul lato d'alcune è ancora possibile scorgere il nome, una d'esse si chiamava Ariel, un piccola imbarcazione blu a vela di cui i brandelli penzolavano inerti alla brezza del mare e della notte. Conosceva questa barca, aveva il nome d'una donna amata a cui i venti del Libeccio e del Maestrale avevano scompigliato i capelli molte onde fa in qualche latitudine del mar Tirreno. Ariel era il nome d'una eroina di Shakespeare o di una sirena, infatti la aveva conosciuta in una notte di mare e poesia su una spiaggia in cui v'erano solo loro e le stelle d'agosto. Tuttavia la donna, come la barca giaceva li in rovina su qualche lido lontano d'un passato vicino e perduto, e lei bella e bruna era soltanto ricordo, riverbero d'una luce andata in una pozza scura.
Il timone perduto chissà dove, l'ancora strappata dal mare, senza mozzo, nocchiero o capitano da anni s'era arenata qui abbandonata dal vento e dall'avventura.
Tra le barche da pesca ed i velieri era nel luogo in cui i rimpianti son tutti navi senza porto, zattere agrodolci della vita a cui abbandonarsi o su cui affondare. 

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