Memorie dalla Zona - Giorno 3 (seconda parte)
(seconda parte)
Gli altri accorsero per
ispezionare i cadaveri, l’Italiano tornò indietro e quando mi vide venne verso
di me.
“Hei, che succede? Che hai?”
Io ero ancora fermo, ripetevo tra
me e me “L’ho ucciso, l’ho ucciso”. Lentamente mi voltai verso di lui, lo
guardai intensamente ed alla fine scoppiai in un pianto.
“Oddio che cosa ho fatto? L’ho
ucciso” gridai.
“Ma che fai, vuoi attirare tutte
le bestie della zona, smettila di gridare” mi diede uno schiaffo in faccia e mi
strattonò via da lì. Mi portò dentro all’edificio e mi fece sedere su un
vecchio pneumatico da trattore.
“Si può sapere che ti prende?” mi
chiese di nuovo.
“L’ho ucciso, ecco cosa” dissi,
ancora tra le lacrime “tu come fai a sopportare tutto questo?”
L’Italiano riprese la calma e mi
parò a bassa voce “Devi capire che qui siamo in guerra, contro gli animali,
contro le persone, contro la natura stessa di questa Zona, non puoi farti
prendere dalle emozioni in questo modo altrimenti la Zona prenderà te, devi
essere disposto a lottare fino in fondo per sopravvivere. Comunque anche ieri
mattina hai visto morire della gente, che cosa ti è successo poco fa?”
“Non li avevo uccisi io.
Quell’uomo aveva la sua vita, magari una famiglia e io l’ho ucciso.”
“Se ti può consolare, quello non
era più un uomo. Era stato colpito dall’emissione, il suo cervello era stato
irrimediabilmente compromesso, sarebbe comunque morto per i pericoli della zona
o peggio avrebbe passato il resto della sua esistenza come una marionetta dei
Monolith. Vedila così, gli hai dato il colpo di grazia, risparmiandogli una
fine più lenta e dolorosa”
Rimasi li seduto ancora un po’ a
riprendere fiato, lentamente tornavo alla calma ripensando alle parole
dell’Italiano, dubitavo di riuscire ad arrivare ad un tale livello di cinismo
ma capivo che dovevo abituarmi in fretta alla situazione se volevo
sopravvivere, per l’ennesima volta mi domandai che cosa ci facessi li ed ancora
una volta non riuscii a darmi una risposta.
Mi alzai, uscii dall’edificio e
raggiunsi gli altri che nel mentre avevano accuratamente ispezionato i cadaveri.
L’italiano stava parlando via radio, probabilmente con Lupo.
“Si, abbiamo fatto. Tre stalker
in tutto. Due erano novellini, abbiamo gettato i corpi in un’anomalia, il terzo
è meglio se venite a recuperarlo. Era uno esperto, portava una tuta rinforzata,
bande in Kevlar, piastre metalliche, potrebbe essere un’ottima attrezzatura se
la fate riparare dal trafficante. Si, abbiamo raccolto tutto quello che abbiamo
trovato. Va bene, riferirò al Barista. A presto”
“Ah eccoti” disse Aleksey “l’Italiano
ci ha detto che hai avuto una crisi di nervi, spero ti sia passato. Comunque,
penso che questo ti solleverà parecchio il morale”
“Già, il Natale è arrivato presto
quest’anno” disse Sergey “Guarda, questo è per te.”
Mi diede in mano un fucile, lo
osservai, lo soppesai con le mani, lo portai alla spalla e presi la mira lungo
la canna.
“Bellissimo” dissi “però per
questo mi servirà una rapida lezione sull’uso delle armi”
“Va bene” disse Sergey “Ascolta.
Si tratta di un MP5, una pistola mitragliatrice di produzione tedesca. Con
questa levetta puoi scegliere tre modalità di fuoco, automatica, colpo singolo
o sicura. Quando spari in automatico ricordati di effettuare raffiche brevi
altrimenti l’arma si impenna e perde di precisione. Oltre a questo abbiamo
trovato altri due caricatori, ricordati di fare economia di proiettili
altrimenti ti ritroverai a secco in un attimo, per questa devi trovare
proiettili adatti, quelli della pistola non vanno bene anche se sono sempre 9
millimetri. Ora lascia che ti mostri come si ricarica.”
Mi spiegò i semplici movimenti
per estrarre il caricatore vuoto ed inserire quello nuovo. Li ripetei un paio
di volte finché non mi sentii sicuro di farcela. Certo, nei concitati momenti
della battaglia sarebbe stato diverso ma intanto doveva bastarmi.
Tornammo all’imbocco del tunnel,
vidi chiaramente nell’ombra i bagliori elettrici di migliaia di fulmini in
miniatura saettare da una parte all’altra, il suono che producevano era
inconfondibilmente quello di un tuono, anche se di molto inferiore di potenza
rispetto alla controparte atmosferica.
Studiammo per un po’ l’andamento
delle anomalie, l’Italiano ci spiegò che si trattava di tante piccole anomalie
localizzate che avevano un comportamento pulsante, dopo un po’ riuscimmo ad
individuare una sorta di ritmo tra le pulsazioni, ogni anomalia produceva due o
tre pulsazioni in cui rilasciava fulmini di energia statica, poi tornava in uno
stato di quiete ed infine ricominciava, il tutto nello spazio di pochi secondi.
Si trattava solo di tenere il tempo e attraversare le anomalie nei secondi di
quiete, più facile a dirsi che a farsi.
L’Italiano si fece avanti per
primo, mise un piede sopra un’anomalia nell’esatto momento in cui questa si
spense, attese un attimo e avanzò di un passo verso l’anomalia successiva, un
passo dopo l’altro giunse al centro del tunnel e si fermò.
“Qui c’è un’area sicura” disse
“vi aspetto.”
Uno dopo l’altro raggiungemmo
l’Italiano, prima Sergey, poi Aleksey ed infine toccò a me attraversare
l’anomalia. Appena misi piede su di essa sentii in formicolio salirmi dalle
gambe, sentii il formicolio farsi più forte o più debole man mano che
procedevo, capii allora che potevo sentire anche queste anomalie, il formicolio
si faceva più forte quando stavano per riattivarsi mentre era più debole
nell’attimo di quiete. Grazie a questa rivelazione raggiunsi i miei compagni in
tranquillità e sicurezza.
“Che hai da sorridere?” mi
apostrofò Sergey.
“Niente, solo che queste anomalie
non sono un problema per me, riesco a sentirle” dissi.
“Come a sentirle?”
“Non so spiegarlo, sento una
sensazione alle gambe, come un formicolio.”
“Il nostro amico qui ha un dono
ragazzi” disse l’Italiano “riusciva a percepire anche le anomalie
gravitazionali che infestano la nostra piccola discarica. Vieni, questa tua
abilità ci potrà essere molto utile adesso. Osservate, questa parte del tunnel
è occupata da anomalie molto più irregolari di quelle che abbiamo attraversato
prima, grazie alla tua abilità potresti portarci fino all’uscita”
“Va bene, datemi un momento”
Osservai attentamente l’andamento
delle anomalie ma non riuscii ad individuare uno schema preciso, non mi restava
che affidarmi all’istinto.
“Che ne dite se andiamo due alla
volta?” chiesi “così dimezzeremmo il pericolo di folgorazione”
“Rischioso” rispose l’Italiano
“due persone insieme potrebbero creare una differenza di potenziale sufficiente
per attirare una scossa dalle anomalie vicine”
“Io sono d’accordo con lo
Smemorato” disse Sergey “lui riesce a percepire le anomalie mentre tu sei
quello che tra noi le conosce meglio”
“Concordo” intervenne Aleksey
“formiamo due coppie e procediamo, non possiamo rimanere ancora a lungo fermi
qui in mezzo”
“E sia, Smemorato, vai tu per
primo” finì l’Italiano.
Presi per mano Sergey, osservai
ancora per qualche momento l’andamento delle scosse elettriche, intuii che
c’era un ritmo, una ripetizione dal periodo piuttosto ampio ma che non era
facile da memorizzare. Sperai in un colpo di fortuna e mi lanciai. Salii
sull’anomalia più vicina appena entrò in stato di quiete, passai subito ad
un’altra ed un’altra ancora, per un attimo affiorò una reminiscenza dalla mia
infanzia, rividi me stesso da bambino saltare da una mattonella scura ad
un’altra, evitando accuratamente quelle più chiare perché nella mia fantasia
erano precipizi sulla lava. Quel pensiero durò un attimo, tuttavia riuscì a
strapparmi un sorriso che nessuno vide in quella situazione concitata.
Arrivammo in fondo senza grossi
problemi, trassi un profondo respiro di sollievo e mi rilassai un attimo. Ora
era il turno dell’Italiano e di Aleksey. Dissi loro di aspettare qualche
momento, continuando ad osservare le anomalie ne avevo ormai compreso
l’andamento, ognuna aveva un andamento diverso ma nell’insieme si comportavano
come un complesso di ingranaggi. Prendendone a riferimento una in particolare
mi misi a contare periodo di attività e di quiete, così facendo individuai
l’esatto tempismo. Indicai la via ai miei compagni che riuscirono facilmente ad
uscire dal tunnel.
Riprendemmo il cammino attraverso
un boschetto di alberi contorti, probabilmente mutati dalle radiazioni, da cui
però uscimmo presto raggiungendo una strada asfaltata, la stessa che avevamo
percorso due giorni prima. Durante il cammino passammo di nuovo davanti alla
casa in cui mi ero risvegliato, allora chiesi ai miei accompagnatori di
mostrarmi dove mi avevano trovato. Mi indicarono allora a qualche centinaio di
metri di distanza i rottami di quello che una volta doveva essere un camion.
L’unica cosa riconoscibile era il pianale di carico, il resto era un groviglio
informe di lamiere, come se l’avantreno fosse esploso. Rimasi un attimo in
silenzio a fissare i rottami per poi rimetterci in marcia.
Percorremmo velocemente quel
tratto camminando in fila indiana sul ciglio della strada, ci fermammo quando
vedemmo in lontananza un edificio sulla strada.
“Perché ci fermiamo?” chiesi.
“Dobbiamo fare attenzione ora”
disse Sergey “vedi quello? E’ il vecchio avamposto militare, fino a qualche
anno fa la Zona si estendeva solo fino a lì, ma dopo una forte emissione si
espanse costringendo l’esercito ad abbandonare la posizione e costruire un
nuovo cordone arretrato”
“il punto è che quel posto è un
punto di passaggio obbligato” intervenne Aleksey “da quando la discarica è
finita nel caos le imboscate non si contano più, non sappiamo cosa potremmo
trovare, magari è tutto tranquillo o magari verremo accolti a colpi di fucile.”
Ci avvicinammo con cautela,
camminando ad un metro dalla strada in mezzo alla boscaglia, afferrai il
binocolo ed osservai. L’avamposto era una piccola area recintata da un muro in
cemento prefabbricato, chiuso dal nostro lato solo con una sbarra mentre potevo
osservare che dall’altro lato c’era un cancello chiuso. Sul ciglio della strada
vicino all’entrata c’era un vecchio camion militare, probabilmente abbandonato
li sin dal 1986. Da dietro il muro spuntava una torretta di osservazione, la
cui finestra era chiusa da lamine frangisole che mi rendeva impossibile vedere
se era presente qualcuno.
Entrammo cautamente
nell’avamposto, sembrava tutto tranquillo. Il cortile interno era piccolo,
appena sufficiente a far entrare un mezzo ma probabilmente la sua funzione
originaria era stata proprio quella, come una dogana. Entrammo nell’edificio,
l’unica via d’accesso era la porta posteriore. Rimasi ad osservare l’ambiente
mentre i miei compagni verificavano se il posto era tranquillo. All’entrata
c’era una scrivania, in uno stanzino accanto un divano ed un mobile con un
vecchio televisore distrutto ed infondo al corridoio doveva esserci l’uscita.
Improvvisamente udii uno sparo,
mi girai e vidi Aleksey cadere a terra, Sergey corse in suo aiuto ma venne
colpito anche lui. Dal corridoio che conduceva sul retro spuntarono due stalker
con il viso coperto da un passamontagna, l’Italiano urlò qualcosa ed alzò l’arma
ma venne preceduto da uno dei due che lo colpì all’addome con il calcio della
sua arma, l’altro mi si avvicinò e mi colpì in faccia.
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