Memorie dalla Zona - Giorno 3 (prima parte)
Giorno 3
Mi svegliai di nuovo nella stanza
d’albergo, sentivo una strana sensazione, come di dejà-vù, ma non riuscivo a comprendere
la situazione. Mi guardai intorno ed osservai la stanza, era piuttosto lussuosa
ma non riuscivo a mettere a fuoco l’ambiente, probabilmente ero ancora
assonnato. Tentai di alzarmi dal letto ma non ci riuscii, ero come bloccato. Mi
voltai e vidi la schiena nuda di una ragazza distesa accanto a me, ne osservai
i lunghi capelli biondi e la linea sinuosa dei suoi fianchi sparire sotto alle
lenzuola. Lei si destò, si volse verso di me e mi sorrise. Era molto bella e
rimasi a lungo ad osservare i suoi profondi occhi verdi.
Tutto sfumò e mi ritrovai a
correre lungo delle scale di metallo, arrivai al pianterreno e corsi fuori da
una porta di sicurezza, mi fermai un attimo a riprendere fiato, alzai gli occhi
e vidi in lontananza le rosse cupole del Cremlino risplendere alla luce
dell’alba, il paesaggio era candido di neve. Abbassai lo sguardo sulle mie mani
e vidi una pistola sulla destra e il rosso del sangue sulla sinistra, tutto
sfumò nuovamente.
Mi alzai di scatto dal materasso
muffito su cui avevo riposato fino a quel momento, ero di nuovo sveglio. Quel
sogno ricorrente iniziava ad essere fastidioso, tuttavia ero in parte curioso
di saperne di più, forse stavo iniziando a ricordare il motivo per cui ero
finito in quel posto. Mi rimisi in piedi ed uscii dalla casa, osservai il cielo
coperto illuminato dalla luce di un’alba lontana, probabilmente non c’erano
nuvole verso l’orizzonte ad est ma il terreno collinare non mi permetteva di
guardare lontano verso quella direzione.
All’improvviso tutto cambiò.
Scese di nuovo il buio, si alzò un forte vento dal nord che sollevò una nube di
polvere, sentii gracchiare il palmare e lo estrassi dalla tasca. Aveva captato
un messaggio via radio su frequenze multiple:
“Attenzione! Emissione in arrivo, trovate un riparo al più
presto! Attenzione! Emissione in arrivo…”
Il messaggio veniva continuamente
ripetuto, vidi tutti gli abitanti del villaggio che ancora erano all’aperto
correre verso il più vicino riparo, decisi anch’io di rientrare. Subito dopo di
me entrò l’Italiano.
“Ah eccoti, presto dobbiamo
riparaci. Sta lontano da porte e finestre vieni qui, al centro della casa.”
Ci sedemmo davanti al vano del
caminetto in salotto, al centro della casa. Vidi dalle finestre il cielo
diventare rosso, sentii forti rumori, come fulmini, ma non vedevo bagliori, era
come se il cielo intero stesse esplodendo, probabilmente era come trovarsi
sotto un bombardamento. Mi coprii le orecchie e chiusi gli occhi.
Sembrò passare un’eternità ma ad
un certo punto tutto finì così com’era iniziato, il cielo tornò al suo normale
colore grigiastro e calò un silenzio irreale sul mondo. Alzai la testa e mi guardai intorno,
l’Italiano stava guardando fuori dalla finestra e sembrava tranquillo, lo
raggiunsi.
“Quella cosa è inquietante”
dissi.
“L’emissione? Già, ma come con
tutte le cose alla fine ci fai l’abitudine, quando vivi in un posto come questo
è solo un pericolo in più da tenere conto nell’equazione della sopravvivenza.
Ci sono cose ben più subdole e pericolose da temere qui. Vieni, facciamo due
passi. Mi piace la Zona subito dopo un’emissione, è estremamente tranquilla,
sembra quasi che ci si possa veramente rilassare, almeno per un po’.”
Attraversammo il villaggio
lentamente e in silenzio mentre i residenti riprendevano le loro normali
attività, arrivammo al limitare del villaggio e ci fermammo.
“Allora, come ti senti oggi?” mi
chiese l’Italiano “Ieri sera mi sembravi piuttosto scosso”
“Questa è una realtà
completamente nuova per me, è faticoso abituarmi a tutti questi pericoli ed
essere senza memoria mi lascia ancora più spaesato. Inoltre sto facendo dei
sogni, o per meglio dire degli incubi, che credo emergano dal mio passato e se
da un lato non vedo l’ora di ricordarmi chi sono dall’altro ho paura di quello
che potrei trovare nella mia memoria”
“Che cosa sogni?”
“Non so bene, appena prima di
svegliarmi mi appare tutto nitido e coerente mentre quando mi sveglio il senso
del sogno mi scivola via come se tentassi di afferrare l’acqua. Ricordo solo
delle sensazioni sgradevoli, ho paura vi aver fatto qualcosa di terribile.”
“Va tutto bene. Molti di noi sono
venuti qui per scappare dal proprio passato, forse è così anche per te. Non
sforzarti di ricordare, la memoria tornerà da sola, con il tempo. Nel frattempo
hai deciso che cosa fare?”
“Si. Hai ragione, devo trovare
questo Val per scoprire cosa mi è successo. Però mi servirà aiuto, se andassi
da solo dubito che sopravviverei a lungo.”
“Giusto, fai un giro nel
villaggio per vedere se qualcuno è disposto ad accompagnarti, non dimenticarti
di parlare con il nostri nuovi amici Sergey e Aleksey, quando sei pronto torna
da me, voglio accompagnarti, almeno per un po’.”
Tornammo al villaggio, in breve
tempo riuscii a parlare con tutti gli stalker del villaggio ma sembrava che
nessuno fosse disposto a lanciarsi in quell’avventura, molti di loro erano dei
novellini come me ed avevano paura di farsi male.
“Ma allora perché sei entrato
nella zona se non intendi esplorarla?” chiesi al mio ultimo interlocutore, uno
stalker di nome Arty.
“Avevo sentito parlare da un
sacco di gente di come ci si poteva arricchire in fretta vendendo all’esterno i
prodotti della zona, sono entrato in cerca di fortuna ma non pensavo che la
vita fosse così terribile e pericolosa qui.”
“Che ti aspettavi, un’allegra scampagnata
nei boschi?”
“No, ma nemmeno di rischiare la
vita ad ogni passo. Adesso voglio solo trovare un modo per andarmene.”
“Perché non te ne vai verso il
cordone con le mani alzate e chiedi gentilmente ai militari se ti lasciano
passare?”
“Il governo ucraino ha introdotto
delle leggi speciali per la zona di Chernobyl, le pene per chi entra nella zona
sono molto severe, se qualcuno di noi viene catturato passerà il resto della
sua vita in carcere. Se devo essere recluso tanto vale che rimanga qui.”
Annotai mentalmente questa
informazione, salutai Arty e mi allontanai. Sembrava sempre più difficile
riuscire ad andarmene da li, intanto raggiunsi Aleksey e Sergey che erano
seduti intorno al fuoco, li avevo lasciati per ultimi.
“Ciao amici, come va dopo
l’avventura di ieri?”
“Tutto bene” rispose Sergey “ci
riposiamo in attesa di trovare un nuovo lavoro. Tu cosa fai?”
“Sto cercando qualcuno che mi
possa aiutare con la mia missione, sono ancora in cerca delle tracce del mio
passato ed ho bisogno di viaggiare verso Nord, che ne direste di
accompagnarmi?”
“Volentieri, ma noi cosa ci
guadagnamo?” chiese Sergey.
“Purtroppo non ho niente da
offrivi, però tutto quello che raccoglierete lungo la strada sarà vostro, che
ne dite?”
“Non posso rifiutare la richiesta
d’aiuto di un amico, e tu?” Chiese Aleksey a Sergey. Quest’ultimo rimase
qualche momento a pensare, poi disse:
“Per me va bene, sappi però che
se dovesse presentarsi un lavoro più remunerativo ti dovremo abbandonare”
“Mi basta. Preparatevi, io
intanto vado ad avvertire l’Italiano, anche lui mi accompagnerà”
Quando fummo tutti pronti
passammo da Sidorovich per acquistare qualche altro equipaggiamento e poi
partimmo, io mi sentivo più sprovveduto che mai con una misera pistola, pochi
colpi e qualche benda ma almeno i miei compagni erano dotati di equipaggiamenti
migliori.
Questa volta tagliammo per i
prati invece di seguire la strada. L’Italiano in testa al gruppo ci segnalava
il percorso. Uscimmo dal villaggio dal lato di Sidorovich, passammo nelle
vicinanze della piccola discarica e ci immergemmo nell’erba alta fino ai
fianchi. Camminammo lentamente e in silenzio, come l’Italiano ci aveva
avvertito quella zona era il regno degli
animali, potevamo incontrare cani ciechi, cinghiali e anomalie ma era la via
più veloce e meno in vista per raggiungere il sottopasso della ferrovia.
L’attraversamento filò liscio
fino a che raggiungemmo l’imboccatura della ferrovia, li scoprimmo che un
gruppo di cani aveva stabilito la loro tana, si mossero per aggredirci appena
ci avvicinammo ma essendo già preparati a questa evenienza l’Italiano, Aleksey
e Sergey fecero fuoco all’unisono con i loro fucili a canne mozze. Con pochi
colpi fecero strage degli animali, i pochi sopravvissuti si diedero alla fuga e
noi potemmo proseguire. Stavamo pianificando l’entrata nella galleria quando Lupo
mi contattò via radio.
“Novellino, ho un compito per te.
Non lontano dalla vostra posizione ho rilevato
il segnale di emergenza di alcuni palmari, questa mattina c’è stata
un’emissione ed è probabile che alcuni stalker siano stati tramutati in zombie.
Voglio che li eliminiate prima che diventino un pericolo.”
“C’è qualcos’altro che dovremmo
sapere?” Chiesi
“Si, se ce la fate potete tenervi
tutto l’equipaggiamento che trovate, inoltre se trovate qualche informazione utile
potete rivenderla al Barista. E’ tutto.”
“Che ne dite? Ce la posso fare?
Mi pare un compito abbastanza facile” dissi.
“Si, in ogni caso siamo qui per
accompagnarti, veniamo con te” disse l’Italiano.
Ci avviammo verso le coordinate
indicate da Lupo, notai che la posizione indicava un gruppo di edifici, quando
ci avvicinammo capii che uno era lo stesso grande edificio che avevo visto il
giorno precedente, quando avevamo preso la strada principale, l’altro più
piccolo invece non lo avevo viso perché nascosto da quello più grande.
“Attenzione ora” disse Sergey
“Rilevo il segnale di tre transponder di emergenza ma non riesco a determinarne
la posizione”
Ci avvicinammo con circospezione,
i nostri dispositivi non rilevavano la presenza di altri stalker ma, come mi
stavano spiegando i miei accompagnatori, se si trattava di banditi poteva
essere normale, mentre tra stalker vigeva una regola di cortesia di segnalare
la propria posizione tramite il transponder dei palmari per evitare inutili
scontri a fuoco con persone in avvicinamento, i banditi evitavano di farsi
rilevare proprio per cercare di tendere agguati.
Ci accostammo al muro esterno
dell’edificio più basso, decidemmo di dividerci, io e l’Italiano rimanemmo li
vicino allo spigolo sinistro mentre gli altri facevano il giro dell’edificio.
Passarono alcuni interminabili secondi mentre aspettavamo che arrivassero in
posizione.
“Ci siamo” sentii via radio. L’Italiano si sporse dall’angolo per
osservare ma si ritrasse subito.
“Cosa hai visto?”
“Tre figure umane, ce n’è uno
molto vicino che guarda in questa direzione, spero non si sia accorto di me.
Voi vedete qualcosa?”
“Confermo, anche io vedo tre stalker, per fortuna non stanno guardando
in questa direzione.” Era Aleksey che parlava “come facciamo? Non ho armi dalla grande gittata, ho con me solo il
fucile a canne mozze e una pistola”
“Io ho un’idea” ora era Sergey a parlare “tu italiano attiri la loro attenzione, mentre sono distratti verso la
tua direzione noi ci avviciniamo da dietro per colpirli a colpo sicuro. Due
sono vicini e ce ne occuperemo noi, il terzo è più vicino a voi, quando
sentirai i nostri colpi dovrai occupartene tu.”
“Se devo fare da esca tanto vale
farlo fino in fondo” disse l’Italiano “io mi metterò a correre attirando la
loro attenzione, gli stalker in quello stato non hanno una grande mira perciò
non dovrebbero colpirmi, tu smemorato dovrai occuparti del terzo”
“Sono pronto” dissi.
“Prendi bene la mira, mi
raccomando” disse, poi si mise in posizione, pronto a scattare. “Al mio tre.
Uno. Due. Tre!”
L’Italiano si mise a correre
urlando, sentii degli strani versi provenire probabilmente dagli stalker. Sentii
rumore di varie armi, poi dopo qualche secondo sentii due colpi ben distinti.
Mi alzai, uscii dal mio nascondiglio, alzai il braccio per prendere la mira, in
quegli attimi sembrò che il tempo si dilatasse, osservai con distacco le tre
tacche degli organi di mira sulla canna della pistola allinearsi con precisione
mentre andavo a collimarle sulla sagoma dello stalker, in quell’attimo potei osservare
l’espressione inebetita del suo volto, gli occhi vacui che non esprimevano
alcuna emozione. Tirai il grilletto e centrai in pieno il torace, feci fuoco
nuovamente e vidi uno squarcio aprirsi sulla faccia del malcapitato che cadde a
terra, ucciso all’istante dal mio colpo.
Solo dopo qualche momento mi resi
conto di quello che avevo fatto, avevo ucciso un uomo. Questa semplice
considerazione mi travolse come una valanga, venni soverchiato da un’emozione
paralizzante, rimasi li fermo dov’ero, ancora con il braccio alzato, la pistola
fumante in mano.
Avevo ucciso un uomo.
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