Bile Nera

Dal mio ufficio della zona industriale posso ammirare due raccordi di tangenziale e un centro commerciale semi vuoto costantemente.

Quando mi stropiccio gli occhi qualche secondo distogliendo l’attenzione dai miei due monitor posso sbirciare dalla finestra se è arrivata qualche macchina di lusso nel parcheggio sottostante:
In compenso c’è sempre qualche bella persona elegante che chiacchiera e fuma con un altro complice e il fumo di sigaretta arriva fino a me... lo respiro a pieni polmoni, un fumo passivo di qualche rossetto volgare, rosso come le unghie smaltate dei piedi che mi hanno fatto sempre cagare per quell’idea di cartomante abbronzata.
Ma ciò che mi fa più male oltre alle onde delle antenne wireless che mi attraversano la fronte, la luce del monitor che spegne la fantasia del mio cranio e una delle due segretarie all’ingresso che da un anno tossisce come un’appestata, sono quei discorsi che avvolti nel fumo della sigaretta arrivano qui al primo piano dove ci sono io che bevo per bagnarmi la gola.

La luce del sole primaverile e le sfumature del suo tramonto abbelliscono il centro commerciale e quel paese che potrebbe chiamarsi benissimo in un altro modo ma invece la briciola di fatalismo che insito in ognuno di noi deve collegare quel paese come tappa di ritorno dopo un’esperienza già vissuta nel tuo passato, tappa di una volta e ora tappo di questa volta; ma a me basta mangiare il mio piatto unico da 8 euro e tornare a casa per dormire e svegliarmi con la sveglia, senza di lei non mi sveglierei, non sono mai stato un fanatico del sonno ma quando non si ha voglia di eseguire o di partecipare alla recita quotidiana la tecnologia è il tuo personal trainer.

Ieri sono uscito dal mio nido che uso per dormire e lavarmi e mangiare pasta con tonno in scatola.

Non sentivo niente e quindi non ho nemmeno portato con me le aspettative per la serata; quando siamo arrivati al club ho provato sempre la stessa situazione di inettitudine per questa vita e per i suoi meccanismi ludici, e quindi per non cadere preda di attacchi di panico decido di calarmi nella modalità d'infiltrato speciale, il giudice che scruta, annota e poi decide chi può venire lassù con me, lassù nel senso del piano superiore.
Noto che si svuotano bottiglie, si riempiono polmoni di catrame, si consumano gli organi interni e a cadenze regolari per vincere la noia e l’imbarazzo e poi bisogna ogni tanto andare al bancone a prendere un alcolico, pagare una birra con un rincaro del 2000% ma il sorriso della cameriera vale tutto nell’apatia di questo locale con musica da sagra e luci soffuse.
Il suo sorriso inutile e quel suo braccio spesso flaccido ti fa passare il tempo e ti riempie perché hai compiuto il GESTO senza nome, senza profumo, senza niente di che ma ti senti bene perchè anche tu come tutti hai fatto il tuo gesto; Gesto: come un uomo 35enne che si trova assieme agli altri 35enni nel locale e che nel pre-serata gioca 45 minuti al calcio balilla.
Lo spirito balcanico non spezia a dovere questa compagnia che iniziate le danze in fila indiana inizia a scrutare delle femmine e così gira e poi rigira, vasche su vasche senza muovere un dito solo l’occhio camaleontico.

Ma tornando all’argomento topico e cioè il GESTO, perché gli esseri umani compiono GESTI impersonali e così dopo aver bevuto bisogna rotolarsi una cicca alternativa con tutti gli ingredienti piccolini e una buona dose di abilità di polpastrello.
Il portafogli si appiattisce come la mia fiamma vitale quando nonostante non contempli il ballare musica di merda cerco di evadere ma tutto questo spingersi e questo suono ossessivo mi catapulta in una pista di autoscontri con maglietta di Giorgio Armani nere, attillate con payettes.
La percentuale di femmine è come sempre notevolmente scarsa rispetto la percentuale di morti di figa e morti di figa non diventa un GESTO bensì un modello.
Quindi siamo arrivato alla conclusione le persone sono MODELLI tutti uguali che compiono GESTI tutti uguali ma con vestiti, odori, e parlate diverse.
L’altra sera tornando a casa in tangenziale vedevo il tramonto che si diluiva verso ovest sopra alla grande zona industriale di Padova e una canzone post rock dal titolo I’m Jim Morrison I’m Death suonava nelle casse.
Ho pianto di una tristezza immensa che non riuscirò mai a spiegare, la bellezza di quella cosa che si chiama cielo o sole o colori mischiati insieme formavano qualcosa che non si poteva toccare e come tutte le cose che non si posso toccare o non si possono più toccare mi scuotano l’anima come la parte di me innamorata dell’amore che è morta annegata tra l’Adriatico e lo Ionio.
Ora la fiamma vitale dentro di me è sempre più bassa come il gas giallo che sta finendo nella bombola.
Come questo macigno che sento sulle spalle. Come la bellezza della follia, della pazzia, del non pensare, del sentire, della mente superiore libera indipendente da ogni vincolo.
In quel momento sentii sempre più la distanza tra la realtà del mio volante sporco della gomma dei manici delle stecche del biliardo e la natura che non si tocca e non puzza di gomma.
In quel momento quel sole così vicino era così distante, io ero li toccavo troppe cose, avevo troppi aggeggi addosso e andai ad est dandogli le spalle.
Sono diventato più magro ma più pesante, disilluso dalla vita e da quella routine che ti incatena e ti addomestica a tal punto da non sentire più niente e da non sentirmi più nessuno.

Ancora una volta il sogno, l’irreale, la sensazione si dimostrano sempre più lontane, così sexy, così affascinanti ed io qui a mangiare per cagare con le giornate che durano sempre meno, devo uscire da questo vortice ed evitare soprattutto i contatti con la generazione di adesso con coscienze addormentate o forse mai svegliate.
La mia è diventata coi capelli grigi.

Una volta stropicciatomi gli occhi e bevuto il mio sorso d’acqua e maledetto la segretaria per l’ennesima volta che non smetteva di tossire, ripresi a battere tasti neri non d’inchiostro ma neri perché non hanno colori, non hanno parole, solo numeri.
Numeri, numeri, numeri da chiamare per comunicare, come numeri dei cellulari delle fighe, numeri come quelli che ti chiedono a fine mese, numeri come il conto da pagare o i soldi che devi fare, numeri di casa, di targa, di patente, come la carta d’identità, numeri verdi, numeri porno, numeri di scarpe, numeri di vestiti da ordinare o da comprare, numeri di esami delle urine, numeri come le pasticche da prendere n volte al giorno per n giorni, numeri sul calendario per compleanni, concerti, orari d’inizio, appuntamenti, numeri solo numeri, numeri del lotto, numeri sui termometri per prevedere il tempo, per parlare del tempo, numeri come i kg che devo perdere per la prova costume, numeri come quante lenti a contatto ci sono dentro le scatole, numeri di codice IBAN, numeri sui cartelli celesti per arrivare sempre nelle solite città, numeri come i cm del cazzo più lungo o più corto, come l’altezza dell’ultimo grattacielo innovativo e la velocità dell’auto.

Alle Sei, a volte sei e mezza, a volte sette spengo il mio pc, chiudo la finestra, cerco la luce del sole dove si posa e una volta salito in macchina corro per la solita direzione, per quella via, via di qui per tornare indietro ma sicuramente cadrò ancora in quella buca scura piena di melma, petrolio, humus, bile nera ed affogo nelle sabbie mobili di questo deserto asfaltato.

CINCINNATUS

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