Sassi nella pancia e pensieri belli in testa - Cincinnatus

SASSI NELLA PANCIA E PENSIERI BELLI IN TESTA

SPORE

- L’emblema della mia estate precaria è un concerto nel verde rinfrescato dalla brezza salmastra della laguna

- Non mi sono mai sentito così impegnato e così inutile come quest’anno.
Così disilluso, così distante dalla vita vera ed impigliato invece in quella fasulla con i suoi ingranaggi di ferro arrugginito ma che non scricchiolano perché le persone sono attente ad oliare tutto per dare un senso al loro respirare, al loro parlare che spesso è solo anidride carbonica.

- Sono io e basta; sono io e basta nel buono e nel cattivo tempo che affetto carote e arrosto panini e scolo paste, che stiro la mia anima di lino per renderla presentabile.
Sono solo io che farcisco di gioia e senape quei panini insieme alle innumerevoli scatole di tonno che mangio.

- La mia estate alle 3 di mattina in qualche villa in modalità clandestina con due occhi luccicanti per morirci dentro, che mi fissano non esiste più. Non esiste più l’estate e quindi non esisto nemmeno io.

- Ci sono notti estive come una maglietta gialla ocra che non vuoi proprio toglierti di dosso, e vorresti continuare ad andare oltre con lei sulle spalle.
Entro in autostrada; C’è il fresco della mia macchina e la quiete insonorizzata che mi circonda tipica di queste terre di nessuno che sono le autostrade, che ti invitano a spingere il pedale e non fermarti più.
Potrei dormirci in questa autostrada perché il ritorno mi spaventa, questo è motel di cemento senza tetto e striato di bianco eternamente.
Quando esco per non pagare il pedaggio illegale ripasso in rassegna vie e cartelli particolari del mio passato, la mia prima morosa e quella sua casa in centro.
Alta e vuota, spoglia come la gambe che spuntano dagli accappatoi, densa di accenti cirillici, con un solo divano, due stanze gelide e il mio scooter sempre parcheggiato là fuori.
Che ne sarà ora di lei?! Persa in una rozza discoteca con un io svanito ed evaporato dai pori ormai diversi che mi ricoprono tutto.
Io sono ancora qua a pensare a tutto ciò perché non smetterò mai di amarmi e amare quelle persone che hanno messo il cuore e la cocciuta testa malata per me, ed io magari solo un pezzo del fegato solamente.
Girovago vagabondo lancio occhiate di scoperta astronomica, c’è un cielo illegale, tutti gli autisti dovrebbero guidare col naso all’insù.
Mi gocciola un po’ il naso di lacrime, sporche di nero, sporche d’inchiostro, mi manca tremendamente quella persona per vedere tutto ciò e allora con una penna fedele disegno la sua sagoma con quei fianchi stretti sul sedile accanto al mio, lei è quella persona che si accontenta di quel momento, di quel cielo superbo, ultimo e perfetto.
La villa è deserta e maliziosa, quei parchi vicini con le altalene cigolanti ed ombre di romeni distrutti, ma una volta ero anch’io lì a sputare parole unte di nicotina, a parlare d’altro .
Alzo il setaccio e di questa serata mi rimane una riunione di amici buoni , una foto su una decapottabile e un “ ti voglio bene” a lunga conservazione, e Luglio era li sui sedili posteriori agonizzante, stava morendo poiché investito e schiacciato dalle mie ruote, moriva un altro Luglio ed io con lui.
Toglimi un Luglio di vita ed incartalo, voglio una serata al mare senza orari in questo Luglio surgelato senza sapore.

LE NOTTI DI AGOSTO

Come tutte le notti brevi di Agosto, anche questa non merita di chiudere gli occhi a quest’ora.
Sarà l’insonnia, sarà la voglia di prendere la macchina all’una di notte con musica di Springsteen soprattutto “On the Run” coi finestrini aperti, la linea bianca sull’asfalto è tutta per te.
Sarà che c’è qualche panchina che sa di muffa di un parco a caso che mi chiama per consumare le ore, cicche e papille gustative, e quell’odore di notte e una lei che mi assomigli, sarà che scrivo tutto ciò a te.

Ripenso anche a ieri sera e penso che sia un passato migliore quando si tornava infreddoliti per dormire con il cielo albeggiante, questa è un’altra notte affogata in un cuscino.
L’estate me la ricordavo migliore.

Se Vasco Brondi fosse mestrino, beh allora scriverebbe sicuramente di Fusina, un posto magnifico dove si condensano mondi e strati diversi, ossimori salati, il tutto e il nulla. *

Le fabbriche chimiche abbandonate, le acque calde che bagnano la chiatta della penisola sono cariche di spore.

Disteso sul parapetto si può ammirare il ponte della libertà e la facciata orientale di Venezia, una delle sue facce con luci magiche. Quel ponte è un’arteria che pompa sangue in giro nelle province invidiose.
Fusina è un episodio di pre-morte, ti trovi in balìa, in un limbo esotico, sei in preda al suicidio o attendi anestetizzato che arrivi quel fegato che hai ordinato per un trapianto da un altro ospedale, sei aperto sotto le stelle bisturi, forbici ago e filo e qualche gabbiano che si avvicina affamato.

Le notti di Agosto sono quelle in cui si ha più freddo, perché il sole ad un certo punto sparisce perché deve andare dall’altra parte, perché il meccanismo non s’inceppa ogni tanto? Il sole di mezzanotte vi sorprenderà, ma la musica della cassa e il vostro tavolo in discoteca vi offuscherebbero il tutto.

Sono quelle notti in cui torni a casa con un rock leggero nelle orecchie e le punta delle dita che sanno del suo profumo.
Torni senza felpa perché le l'hai prestata e speri prima o poi che te la renderà non tanto perché è un tuo straccio e ti sentirai mancare un pezzo di te, ma perché il giorno dopo la felpa la potrai strizzare, annusare e goderti l’essenza della notte precedente.

Sono quelle notti nelle quali torni a casa in preda agli ormoni disobbedienti, sparsi un po’ in tasca un po’ sul collo, le dita patinate del liquido vaginale che quasi si attaccano al volante.
E’ l’Agosto che non vuole staccarsi perché è fottutamente breve, Agosto è la farfalla annuale che dura poco.

IL SOLO RISVEGLIO CHE VALE

Penso spesso che sarebbe un’esperienza davvero interessante e particolare risvegliarsi con me accanto.
Le ragazze dovrebbero provarmi più spesso non tanto per il probabile rapporto sessuale della notte prima o del risveglio quanto per la colazione.
Concentriamoci sulla colazione, apro la finestra e c’è tutta la Giudecca di fronte:
Succo di frutta, marmellata da spalmare ovunque, thè secco con chili di zucchero e nutella a piccole dosi e soprattutto musica. Musica giusta come quella di Jeff Buckley, Doors, Velvet Underground, Arctic Monkeys ecc..in generale rock’n’roll da addentare con quattro stracci addosso e il capello spettinato.
E’ di sicuro il più bel momento della giornata, poi un saluto ed ognuno per la sua strada, niente sesso ulteriore, niente baci di merda ne basta uno sul collo, solo condivisone, e qualche passo di danza ciondolante mentre si aspetta bollire l’acqua o mentre sorseggi una tazza di orange juice appositamente spremuta da me con la tua maglietta dei Joy Divisione che ti arriva alle cosce e che usi come pigiama.
Penso che sarebbe un privilegio fare colazione con me, anche e solo e soprattutto la colazione perché ti cambia e mi cambierebbe la giornata, un risveglio di questo tipo, un risveglio che vale.

* TORNANDO A FUSINA
Il momento perfetto per andarci è sicuramente la notte anche tarda, proprio quando sarebbe normale andarsene a casa e il desiderio di asocialità di pervade lì si possono incontrare persone d’ogni tipo ed è raro trovarsi completamente soli.
Spettri di drogati in borghese che avanzano verso te in cerca di una dose, sono arrivati lì per caso spinti dalla corrente veneziana e cercano estasi e un posto per ballare.

Una serata così potrebbe rivelarsi anche pericolosa specie col portafoglio gonfio di roba, ecco arrivano due giovani ubriachi spavaldi che decidono di tuffarsi nelle acque putride...” è caldissima “ urlano bevendola ignari della tossicità che gli scorrerà dentro.
Pochi metri più in là ci sono i grandi tubi di scarico colorati dal parco acquatico chimico con le torri più alti dell’Acqualandia.
Raserei al suolo i parchi acquatici, le sagre, le discoteche con brillantina e vestiti di marca con un ingresso che ti costa una cena e tutti i loro protagonisti da lobotomizzare.

La stradina per giungere a Fusina è scura e silenziosa, se dai un colpa di abbaglianti potrai accorgerti di giovani autostoppisti che vogliono uno strappo fino al campeggio esibendo il pollicione e un cacciavite. Potrai scorgere anche qualche macchina sospetta, camion che dormono e al loro interno qualche puttana al galoppo.
Vado oltre il campeggio, è solo un rifugio per camperisti in disuso come tutte le fabbriche attorno, ce ne sarà solo una realmente in funzione anzi quella forse è proprio il campeggio. Le altre spirano incessanti fumi quasi per esalare l’ultimo respiro, e le luci di tutte le centrali morenti sono accese per lutto, e sono appannate da questi gas sparati dalle torri più alte della zona.

Il campeggio non sembra mai completamente saturo, spesso porta qualche anima a passeggiare nello spazio verso la chiatta per digerire o fumare uno spinello, i giovani non sanno che fare chiusi nel campeggio chiusi nella roulotte. E così girano per curiosare e/o ammirare coppiette limonarsi o il panorama che ti lascia quella speranza rassicurante di qualcosa di bello che nella tua vita dovrà ancora arrivare, quella visione di una Venezia mondo a sé e ancora più a destra di una laguna che poi si farà mare per la Grecia, è così rassicurante che speri che quel vento ti possa spingere fin là seduto dentro ad un guscio di noce gigante, una tipica noce a vela con uno stuzzica dente fissato nella mollica di pane che fa da palo e qualcosa di bianco carta o stoffa che sia che fa da vela.

Ma anche per i più curiosi, probabilmente qui vige una legge non-scritta di reciproca tolleranza degli spazi.
Ognuno sa e sta per i fatti propri immerso nella propria dimensione.
C’è senza dubbio Venezia da ammirare e quel ponte con il limite di velocità da fare a piedi.
C’è qualche arbusto da annaffiare con dell’urina.
C’è soprattutto questa brezza tipica della laguna carica di sale che sa di libertà.
E’ una folata così leggera ma continua che ti scuote ciglia e vestiti per cospargerti di sale le parti scoperte.
C’è un buio pesto nell’orizzonte, ci sono tralicci ricoperti di muschio, ancore di appuntamento per gabbiani stanchi ubriachi pure loro che non ce la fanno ad arrivare a destinazione.
Quel vento che soffia sempre più forte li dirotta a caso, il loro volo risulta sempre più goffo ed impacciato finchè uno di loro stremato ti capita tra le braccia. Lo culli, lo guardi e dici “ cazzo quanto sei grande, sarai il mio albatros di compagnia”!

Ci sono quelle increspature d’onda che massaggiano lo sguardo e ti ipnotizzano. Quando apro le braccia mi sento su una nave, mi sento uomo di mare che si perde troppo spesso nel proprio abisso senza luce.

Girando tutt’intorno la casa abbandonata e scoperto sprazzi di verde erba salata c’è la chiatta che cigola costantemente per la marea e la risacca, creando il tipico rumore di intruso, di estraneo, che sbuca per darti una botta in testa così senza un vero motivo.
Esci e prova a venirmi a rovinare la mia quiete, osa.

I Port Royal nelle cuffiette e tutto ciò non ha prezzo nelle sere fredde di Agosto senza gloria.

8:30 al SUPERMERCATO

Non sapevo veramente chi fossi questa mattina, stonato come non mai.
Non trovando neppure i soliti elementi preferiti per formulare la giusta combinazione di colazione ho optato per le fibre cereali preventivando una tappa obbligata al cesso.

Sono uscito così presto per fare la spesa, perché i supermercati nelle ore troppo affollate ( e cioè sempre) sono anguste prigioni spaventose, puerili teatri di provincia in cui sei costretto ad assistere all’umanità malata in tutte le sue meravigliose fisime.
Appena dentro il capannone, ancora in preda allo smarrimento della coscienza mi sono fiondato nel bancone degli affettati a prendere il numero.
Ecco oggi sono il Numero 33, il numero 33 per paura di essere incompreso ha perso tutto il suo peso, l’unico peso bilanciato è quello della bresaola, “basta un etto grazie”.
E così vagavo con un 33 sulla schiena, spingendo il carrello nei binari zeppi di cibo come un fantasma guidato da misteriosi istinti casalinghi finchè all’uscita nel parcheggio sento gridare:” gilbi” da un mio amico insonne.
Era Pippo che mi aveva ricordato chi io fossi, lo salutai perplesso dalla circostanza del nostro incontro, per sdebitarmi gli lasciai il carrello con i 50 centesimi nella fessura.





IL POTERE DEL MULINO BIANCO

Alla fine ho dovuto arrendermi al potere del mulino bianco un trapano morale sempre in costante rotazione che buca la testa, il cranio e ti arriva dentro come un cancro.
Alla fine ho dovuto cedere imbrigliato nelle sue trame troppo strette, troppo incastonate, troppo arrugginite.

Mi sono scontrato più volte contro le dinamiche della retrograda campagna che ha come suo unico vantaggio solo il verde e l’ombra e le stelle e la quiete per pensare, ma pensare troppo significa non vivere e vivere è più facile senza pensare, ci vuole coraggio ad oziare guardando il cielo con un blocco e una pena carica.

Quando getto sguardi alle statiche pannocchie, la mia penna è come una falce, vorrei fare una mattanza di chicchi gialli perché tutto è così immobile così tutto ponderato, programmato, ordinato, pulito e allo stesso tempo vuoto.
Qui le persone addomesticate male influenzano i figli e così via e la malattia si trasmette a livello genetico, il mio antidoto è stato insufficiente non ho potuto fare niente ora cerco benzina per me.

La gente è impaurita e muore dentro le proprie ansie dovute ad una vita dedicata al DIO ABITUDINE, alla vecchiaia , alla paura della morte, alle responsabilità di avere qualcosa e conservarla più a lungo possibile come una pizza avanzata e messa in frigo per il giorno dopo.

Ma è solo immobilismo, non vedo sprint, non vedo gioia, non vedo solarità solo catarro e muco cadente e pomate e scatole di pasticche, conserve.
E' l’ amore come un fatto sociale, letto su un libro, ordinato in Internet, quadretto di bontà e amore imprescindibile, l’amore come meccanismo oscuro smilzo come una sogliola legato con una catena ad un muro e sfamato con frasi d’effetto, con parole con la rima scritte in un biglietto di auguri, l’amore grammaticale, incastonato nelle fedi come trionfo e meta ultima, realizzazione del grande sogno e poi solo compromessi e più il tempo passa più tutto diventa a maggior ragione irreversibile perché manca il coraggio di volere la vita, di dire la vera verità, manca il coraggio di ferire ancora ,e star da soli ancora, perchè ad una certa età NON SI PUO’ PIU’; e allora svengo nelle cornici famigliari dove sento questo disagio, questa rassegnazione, questo stare insieme perché siamo una squadra, questo sopportarci, questo condividere nulla, e il pus che cola dalle ferite dei muri, il dialetto che maschera le nostre vere idee, le tue vere virtù.
Quando ero o sono dentro tutto ciò mi sento prigioniero e mi pizzico le cosce di nascosto per distrarre la mia mente concentrata nello svenimento che è pura manifestazione di un desiderio improvviso d’evasione e di intolleranza nei confronti del vuoto totale.

La gente è impaurita ed angosciata dall’insicurezza e continua a respirare, a vestirsi e a parlare del meteo e quindi del nulla costantemente in imbarazzo di mostrare insicurezza ma di pretendere la certezza.

Odio profondamente quegli ingessati che si aprono a te solamente se ti vedono sempre attorno, solamente se ceni con loro quotidianamente, loro si aprono e si lasciano andare per poi non dire nulla.
Non si accorgono della genuinità delle persone ma stanno bene attente a conservare tutto in frigo perché non deve essere sprecato.
La data di scadenza, l’odore e il sapore un po’ marcio che emanano non lo riescono a sentire ma riempiono tutti i buchi vuoti della dispensa in previsione di un attacco alieno.
Questo conservare per mangiare meglio, per mangiare senza sprechi, economizzare anche la briciola di grana caduta dal piatto come le risate che escono a stento non riesco a capirlo.

Mentre scrivo tutto ciò perdo pezzi di me poco alla volta, tre anni sono passati, ho fatto talmente tanto che mi perdo nel ricordare.
Ed ora rimango solo un nome in quei biglietti di auguri anonimi dove l’unica cosa a cambiare è la data, rimango una presenza senza spessore, senza colore, rimango solo un modello troppo grande che non entrava nella sagoma cartonata del moroso semplice, e di colui che avrebbe dovuto solamente svolgere le mansioni della figura del moroso.
Ora verrò sostituito ma i lettori musicali sono zeppi di miei canzoni spero che bruceranno le orecchie, ma poi che importa ormai? Tanto....

Tanto Bastava esserci, e basta esserci, il mio sostituto dovrà essere presente, assente mentalmente ma presente fisicamente lì seduto nel divano o a scopare in una macchina, dovrà essere presente a cena ma spento creativamente quello non importa per fare figli e tenere saldo il rapporto coi parenti, la creatività, la pazzia, la diversità è nociva perché inverte la direzione di un disegno divino/naturale della famiglia di campagna. La vita è tutta fuori dentro c’è solo sangue per i campagnoli solo sangue e parti molli.

Basta esserci insomma così entrerai nel cerchio della fiducia e potrai mangiare al loro tavolo e quel cibo è l’unica cosa insieme alla bontà e all’ospitalità che potranno offrirti con vanto.
Quando si è a terra, quando le parti molli brontolano ci sputo sopra a questa sorda bontà che diventa ignoranza, insensibilità, grettezza; e tutto ciò mi ha vinto, sono mostri troppo forti ed io ero senza forze, Io che ho fame d’altro muoio dentro.
Ha vinto così la cecità, ha vinto “ma fuori piove?”, ha vinto la normalità, l’abitudine e vince spesso tutto ciò, vince ovunque in questa merda di zone, il mondo è regolato da leggi non scritte, arcaiche, lente, represse; la velocità che ho bisogno e la luce di carica che trovo negli occhi di alcune persone ci spingono a restare spesso soli, spesso in pochi ma a darci in pasto a chi ci capisce veramente sennò è solo elemosina.

Ma che senso ha conservarsi e conservare tutto al meglio se non per metterci nella possibilità di evolverci? Se ci pensate vivo e spero di vivere il più possibile per realizzare qualcosa o per sperare che accada un giorno o nell’altro ma soprattutto penso che ho bisogno di un’ora in più con te, con la luna o con un persona x, ho bisogno di un giorno in più per capirmi e crescermi sennò non ha sapore questo andare avanti con gli stessi occhi miopi che guardano fino ad una certa distanza, a 20 anni, a 40, a 60 sarai sempre te, bambina rinchiusa in una carcassa depauperata da profumo, fascino e pelle liscia.

Credevo di essere stato l’artefice di qualcosa, ho fatto di tutto per cercare magari con metodi triviali ma sempre con profonda coscienza e verità di cercare una via per estrapolarla dal contesto campagnolo ed arretrato e sono stato criticato di anormalità.

Tre anni di dimagrimenti e scossoni  e ora con le pupille consumate dalla celluloide, le lacrime non riescono più a scender, in compenso sento staccarsi pezzi di me lentamente come un iceberg che si svuota sott’acqua di nascosto verso il fondale.

Fisso la perfezione di un cesso profumato e fresco e l’ordine mortale degli oggetti mi affascina da un lato ma dall’altro mi inquieta.
Mi inquieta perché penso all’atto pratico di tutto ciò per chi è tutto quest’ordine? Chi lo vedrà? Che senso ha tutto ciò? Voglio dire è chiaro che pulito ed ordine sono necessari ma non sempre non costantemente, non dovrebbero essere l’angoscia quotidiana, la sicurezza di un fare soddisfacente.
C’è una canzone struggente “While my guitar gently wheeps” il testo è di George Harrison, suonata da Clapton e dagli stessi Beatles che in sostanza descrive un po’ questa situazione.
“Vi vedo tutti pulire il pavimento mentre la mia chitarra teneramente piange”
Questo è l’emblema della campagna e del fatto che quel pulito molto spesso significa STAR BENE CON SE STESSI, significa FARE PER NON PENSARE PERCHE’ SONO UN INCOSAPEVOLE DEL CAZZO E SCLERO SE HO DEI MOMENTI D’OZIO, significa QUESTO PULITO E’ LA MIA CERTEZZA CHE POSSO SFOGGIARE AGLI OSPITI, significano tante altre motivazioni e convinzioni morali scadenti che a me non interessano.
Io ho bisogno del tempo per me stesso e non è egoismo, io ho bisogno ogni tanto di mettermi e di mettere in discussione quello che ho e sono perché è un atto di coscienza e di sincerità verso se stessi e verso le persone che ti stanno a cuore.

L’immobilismo è la pietra miliare dei campagnoli che sono attenti a non far cadere le briciole sul pavimento mentre mangiano.

Per fortuna esistono le stagioni che spopolano nelle conversazioni e nei giri di parole se non si parlerebbe d’altro.
Ha vinto tutto ciò, sono stato sconfitto dall’infantilità, dalla teoria della “vita è bella e buona”, dell’uomo “nero e cattivo”, dell’omertà assoluta, delle cene in dieci su una tavola in silenzio a guardare il quiz televisivo, delle anime dormienti, della vita a tappe, della vita come gioco di ruoli, la dura LEGGE DEL MULINO BIANCO.

Attenti sono dappertutto e sono sempre di più.


CINCINNATUS
AGOSTO 2013


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