Memorie dalla Zona - Giorno 2 (seconda parte)
Lo smemorato ha bisogno di risposte, ma c'è una parte di lui che non vuole collaborare.
(seconda parte)
“Bene, credo sia ora di andare”
disse l’Italiano. Avevamo finito di fare colazione e stavamo radunando le
nostre cose. “Ormai siamo quasi arrivati, tra meno di un’ora saremo al
villaggio così potremo ottenere delle risposte. Andiamo”
“Bene, allora arrivederci amici”
ci salutò Mika “buona fortuna la fuori”
Ci incamminammo lungo il viale
alberato che partiva dall’ingresso principale, il sole era alto nel cielo e
tracciava ombre nette degli alberi sulla vecchia carreggiata asfaltata. Dopo
poco incontrammo un’anomalia lungo la strada che aggirammo agevolmente,
camminavamo tranquillamente in silenzio come se non avessimo niente da temere a
questo mondo. Sergey ruppe il silenzio:
“E’ da un po’ che non torno da
queste parti, sei tu al comando del villaggio, Italiano?”
“No, io offro un po’ di
assistenza medica a chi me lo chiede, per il resto voglio solo vivere
tranquillo, a comando dell’accampamento c’è Lupo”
Intanto avevamo raggiunto la
strada principale, probabilmente quelle che veniva dal ponte crollato, a
sinistra dell’incrocio c’era una vecchia stazione degli autobus e più avanti in
lontananza vidi un edificio piuttosto alto, noi invece proseguimmo verso
sinistra.
“Lupo? E’ ancora vivo? Sono mesi
che non lo vedo, pensavo fosse morto. L’ultima volta che lo avevo incontrato
stava preparando una spedizione a Pripyat ma poi c’è stata quella grande
emissione e non ho più saputo niente.”
“Si, è tornato di recente ed
essendo uno stalker molto esperto ha ripreso il comando del villaggio, tuttavia
deve essergli capitato qualcosa di veramente brutto. E’ sempre silenzioso ed
assorto nei suoi pensieri, parla solo quando è necessario dare un ordine. E’
ancora un uomo saggio ed intelligente, infatti con la sua guida non c’è mai
stato un problema che non potessimo risolvere, però ultimamente si è attaccato
alla bottiglia. Ha anche contratto una strana malattia della pelle, la tiene
sotto controllo grazie a diversi reperti pezzo di carne ma non è un bello
spettacolo, è come se stesse facendo la muta della pelle come un serpente.”
Calò di nuovo il silenzio mentre
attraversavamo quella zona, tutt’intorno c’erano prati di erba alta con qualche
albero qua e la, la strada era in leggera salita perciò avevo una visuale
piuttosto limitata di fronte a me. Raggiungemmo un ponte e finalmente potei
lanciare uno sguardo tutt’intorno, tirai fuori un binocolo e scrutai lontano
vicino all’orizzonte. Vidi in direzione della strada la sagoma di alcuni
edifici, probabilmente il villaggio che dovevamo raggiungere. Spostai lo
sguardo lentamente verso destra, prati, alberi, movimenti nell’ombra, la
sottile deformazione della visuale dovuta alle anomalie e poi ancora alberi e
prati ed all’orizzonte il tracciato della ferrovia che avevamo attraversato il
giorno precedente. Proseguii ancora con lo sguardo e notai la sommità di un
alto edificio, probabilmente lo stesso che avevo visto in lontananza poco
prima, proseguendo ancora incontrai la strada che avevamo percorso ed abbassai
il binocolo.
“Ti piace il panorama? Andiamo,
siamo quasi arrivati” mi disse l’Italiano.
Finimmo il nostro viaggio in
silenzio, arrivati al villaggio si fece avanti un fronte nuvoloso che in pochi
minuti scaricò sulle nostre teste una gran quantità di poggia, per fortuna
eravamo arrivati in tempo per trovare riparo.
Il villaggio era un piccolo
gruppo di case lungo una strada sterrata, erano piccole abitazioni fatiscenti
divise da steccati di legno ormai marcio. Alcune sembravano aver subìto più di
altre l’usura del tempo, potevo vedere finestre rotte, alcuni tetti crollati,
un paio di case avevano subìto importanti cedimenti strutturali ed erano mezze
distrutte.
Entrammo nel villaggio mentre
iniziava a piovere, ci fermò una guardia ma subito ci fece passare quando vide
l’Italiano, percorremmo velocemente la strada per trovare riparo, vidi un
gruppetto di persone come noi che correva verso una casa a sinistra, noi invece
entrammo in una a destra. Appena entrati si fece avanti un uomo, era molto
magro ed emaciato, la pelle del viso era secca e squarciata in un paio di punti
ma non sembravano ferite aperte, doveva essere lui Lupo.
“Ah, sei tu, Italiano” disse “e
questi chi sono?”
“Ciao Lupo, ho concluso la
missione. Ho portato in salvo questo ragazzo assieme all’aiuto di questi due
stalkers”
“Un altro novellino? Va bene,
lascia che ti spieghi come funzionano le cose qui. Sei libero di andare e
venire come vuoi, dormi dove più ti fa comodo, non dare fastidio agli altri e
soprattutto non tirare fuori le armi se non è necessario. Inoltre se sei
intenzionato a rimanere qui sei pregato di dare una mano alla comunità, c’è
sempre qualcosa da fare e se ti affidiamo un incarico sei pregato di
concluderlo.”
Detto questo si voltò ed andò a
sedersi su di un vecchio divano logoro, ignorandoci completamente.
“Rilassatevi pure, io devo
parlare ancora un po’ con lui” disse l’Italiano. Io mi appoggiai ad un muro
accanto ad una finestra per osservare l’esterno, Sergey ed Aleksey si misero ad
accendere il fuoco nel caminetto mentre l’Italiano si sedette accanto al Lupo.
“Sono stato via due giorni, è
successo qualcosa in mia assenza?” gli chiese.
“No, tutto come al solito”
“Niente di particolare? Non è
arrivato nessuno da fuori? Neanche per parlare con Sidorovich?”
Mi voltai a guardare, l’Italiano
parlava a bassa voce mentre Lupo aveva lo sguardo perso nel vuoto, anche se
rispondeva in maniera coerente.
“C’è sempre gente che va e viene
da Sidorovich, solo ieri ho visto un militare del cordone, uno dei ragazzi
della vecchia fabbrica ed uno stalker che non avevo mai visto.”
“Chi era questo stalker? Da dove
veniva?”
“Mi ha detto che veniva dalla
discarica per un affare con Sidorovich, aveva anche dell’altra merce che ha
tentato di barattare con i ragazzi qua fuori”
“Che genere di merce?”
“Bende, kit medici, le solite
robe. Aveva anche un palmare rotto ma nessuno qui ha le conoscenze per
ripararlo, forse lo avrà venduto al trafficante. Ti serve sapere altro?” Lupo
stava iniziando a spazientirsi.
“Va bene così, grazie. Nessuno è
stato ferito in mia assenza vero?”
“No.” Prese in mano una bottiglia
di vodka e ne trasse un lungo sorso. L’Italiano si alzò e si avvicinò per
parlarmi.
“Ok, mi ha detto ciò che volevo
sentire, appena smette di piovere andremo da Sidorovich. Abita in una specie di
bunker sotterraneo e quando piove sigilla la porta.”
“Una volta trovato questo palmare
cosa pensi di farne?”
“Non sei curioso di sapere che
cosa ti è successo? Come mai sei arrivato qui? Se quel palmare è tuo come penso
potresti ottenere delle risposte. Non ti interessa?”
“Non più di tanto, mi preme
piuttosto cercare di rimanere vivo abbastanza a lungo per capire come andarmene
da qui.”
“Capisco. Be’, io invece ho
bisogno di risposte, magari me lo sto immaginando però ho la sensazione che
qualcosa si stia muovendo al centro della Zona e forse tu sei la chiave per
capire tutto questo.”
Sentii una sensazione
indefinibile salirmi da dentro e prendermi alla gola, era panico come non ne
avevo mai provato prima, tentai di riprendere il controllo con sarcasmo.
“Uuuhhh proprio come nei racconti
d’avventura in cui il protagonista è il prescelto che deve compiere una grande
impresa. Il protagonista spesso è giovane ed inesperto per ciò è accompagnato
dal vecchio e saggio mentore che in questo caso sei tu, dico bene?” Lo
canzonai.
“Non prendermi in giro, questa è
la realtà, non è finzione.”
“Ne sei sicuro? A me sembra di
essere finito in un pessimo film di fantascienza, fino a due giorni fa vivevo la mia vita
tranquillamente mentre adesso sono qui a dovermi difendere da bestie immonde,
radiazioni e assurdità come le anomalie. Adesso scusami, voglio riposare”
Non sapevo che cosa mi avesse
preso ma quella conversazione mi aveva scombussolato, dovevo fermarmi un attimo
a riflettere. Esplorai la casa e trovai un vecchio materasso a terra, mi
distesi sopra e chiusi gli occhi. Nella mia mente scorrevano innumerevoli
pensieri che non riuscivo a districare, tentavo di afferrarne uno ma subito mi
scivolava via. L’unica cosa certa era che non sapevo cosa fare. Per il momento
mi ero affidato agli altri ma presto sarebbe venuto il momento di andarmene per
conto mio e non avevo veramente idea di come cavarmela. Era forse per questo
che ero stato preso dal panico? Avevo il terrore dell’ignoto? Possibile che non
sapessi prendere in mano la mia vita, soprattutto ora che rischiavo seriamente
di perderla? Non avevo risposte a queste domande, ma già aver individuato il
problema mi restituì un po’ di tranquillità. Presi un respiro e mi rilassai, mi
lasciai cullare dal suono della pioggia e scivolai in un sonno tranquillo.
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