Montale o De Andrè?
“Cantami o Diva l’infelice fine della poesia…”
Se Omero tornasse in vita ai nostri giorni sarebbero forse questi i versi che scriverebbe di getto esterrefatto ed estremamente deluso dal mondo odierno.
Dove si nasconde infatti la regina delle Muse, Calliope? Si cela tra i grattacieli, nelle autostrade piene di traffico o nei Mc Donalds oppure in una televisione che trasmette in diretta dal mondo solo vanità e violenza. Forse giace moribonda nelle scuole ferita a morte dalla noia e dall’indifferenza.
Ovunque essa si trovi, in questi ultimi anni è stata spesso sola, abbandonata dalla società, ricercata solo da illustri amanti come Giovanni Raboni, Alda Merini, Andrea Zanzotto, incantati dal suo meraviglioso fascino immortale. Viene spontaneo chiedersi quale sia la causa della detronizzazione di Calliope. Un tempo essa era regina della cultura, sulla quale dominava incontrastata, grazie ai suoi fedeli innamorati, che per amor suo ne cantavano la gloria componendo leggiadre acrobazie linguistiche ritmate e animate dall’umano canto ancestrale.
Ad essa dedicarono la vita in molti donandole come estremo omaggio calici riempiti di sangue ed inchiostro, linfa vitale della poesia.
Il progresso, la tecnologia e la civiltà hanno forse inferto il colpo di grazia alla poesia o essa, come si chiese Eugenio Montale nel 1975 nel “Discorso tenuto all’Accademia di Svezia”, è ancora possibile “in tale paesaggio di esibizionismo isterico“?
La più dolce delle arti per sopravvivere ha dovuto trasformarsi per adattarsi all’odierno stile di vita frenetico e caotico. Essa non può morire, perché come dice il poeta Giovanni Raboni è “una possibilità infinitamente sospesa” nell’ego umano. In un secolo dove la società ha invaso lo spazio dell’individuo ed ha finito col dominarlo, soffocando il tempo dapprima dedicato alla sua interiorità, vi è ancora posto per la poesia? Dove potevano trovare rifugio la lirica, la metrica, i sentimenti in un mondo dove contano solo la ricchezza e l’esibizione?
La poesia per riconquistare il suo spazio, le folle, per riscuotere il successo che aveva sempre anelato, ma mai trovato, dovette tornare alle origini, quando veniva accompagnata dal dolce suono della cetra o della lira.
Calliope cambiò dunque genere d’amante. Lasciò i vari Ungaretti, Saba, Montale per gettarsi tra le braccia dei grandi cantautori come De Andrè, Guccini o Mogol-Battisti.
Uomini capaci di riunire vita, poesia e melodia in un concentrato di emozioni e sensazioni della durata di pochi ma intensi minuti.
La poesia si è quindi adattata all’esiguo spazio che l’uomo le concede riuscendo comunque a colpirlo facendogli vibrare le corde più profonde dell’anima.
Interrogato su quali siano i suoi poeti preferiti Gino Paoli rispose "Caproni, Sbarbaro e Montale. Nel '61 feci uno spettacolo con un attore che recitava le loro poesie. Anche quest'anno ho fatto qualcosa di simile, a Spoleto, con Montale. Oggi nessuno legge più. Sono convinto che la poesia debba essere divulgata e che la canzone può mettersi al servizio della poesia. Allora sì che il collegamento poesia e canzone diventa un fatto generoso e bello."
Queste affermazioni dimostrano il forte legame che c'è tra due generazioni di artisti diverse sia nel modo di esprimersi sia con diversi livello di esperienze sociali. La musica riesce quindi a colmare il vuoto che la società è riuscita a creare tra i poeti ed il loro possibile pubblico.
Per quanto la poesia stia vivendo una sorta di morte letteraria sta assistendo ad una sorta rinascita musicale, che la rende socialmente preziosa e alla portata di un pubblico sempre maggiore.
Il mondo non potrà mai soffocare la poesia, è la quintessenza dell’essere umano e dei suoi drammi, essa lo circonda, lo stupisce e rende partecipe di una sorta di dolce divinità.
Commenti
Posta un commento