Le volontà part-time
C’ è stato un periodo, nel 2009 in cui ho sentito qualcosa in
me cambiare davvero, un'evoluzione; da quel momento cominciai a pensarla
diversamente, e vedere le cose in un
altro colore, avevo preso pienamente consapevolezza di ciò che sono.
E da quel momento in poi sempre più frequentemente ho
cominciato a sentire quel gusto amaro che col tempo di depose sul fondo di
molte delle cose che vediamo che tocchiamo e di cui ci nutriamo oggigiorno.
Questo gusto per un po’ è stato domato dal tempo nell’isola,
dalle sue leggi di falsa sopravvivenza, dalle mie volontà part time e da quei
quasi due anni in cui facevo parte dei suoi ingranaggi unti di qualcosa di
unico, e queste righe sono la fotografia di tutto ciò.
Forse in questo mondo
si ha paura di avere emozioni nuove, di sbatterci dentro, dove tengono la
fiamma della curiosità tutte queste persone che ciabattano per le calli con o senza macchina fotografica?
Questo piattume quotidiano è niente eppure è un’àncora.
Non vedo l’ora di vivere qualcosa di travolgente, penso si viva
per questo… sennò perché?! altrimenti perché?
Questa vita inutile e semplice, uguale da far schifo.
Paura di soffrire, è come aver paura di morire, sembra
invece che questa ritualità modesta non spaventi le persone . Io mi coltivo, ho
anticorpi grossi eppure c’è una tenia che mi divora da dentro quando m’accorgo
d’essere raro, forse strano, forse romantico per vivere e seguire costantemente
la sensazione. Per avere qualcosa da poter raccontare, e mi raccomando non
dovere raccontare ma poter raccontare, dev’essere una tua nuova piccola cellula
che si attacca al resto dei tuoi tessuti, piccola mattone di sostanza.
Segna la tua disponibilità lavorativa una settimana prima, per
poi avere in cambio dentro ad una scatola del tempo part time, per i tuoi
desideri, per i tuoi sbattimenti per i tuoi viaggi di 2 km, qui vicino, ma
basta camminare, basta andare sentire la spiaggia fredda di Settembre sotto i
piedi nudi con una canzone e il mare che si mescolano.
Guardo film, proiezioni che escono dalle note e penso a quanto
ho vissuto, a quanto sono stato logorato dalle emozioni, le occhiaie nere, le
pupille lucide per l’abuso di lenti e venti dritti in faccia.
Penso all’alcol, alla fatica, alle mancate erezioni , alle
albe, ai bagni di notte con la sabbia, alla melanina che assumo in pastiglie
solo per quest’anno. Mi manca il sole.
Preferisco essere un burattino, una bandiera bucata dalle saette di uno sguardo, dei mille odori
del passato, delle luci di Venezia a mezzanotte, da amori irregolari, dai
momenti in cui svengo nei vaporetti o nei bus notturni, preferisco tutto ciò.
Sudo e libero energia, sorrisi di plastica, lacrime trattenute, esausto sento
che arriverà quel giorno in cui crollerò senza forza, necessitando magnesio e
acqua e zucchero in vena.
E’ davvero cosi insostenibile e banale questo scambiarsi sms
come secrezioni, o odori come carezze, scambiarsi stagioni, quel freddo che
sento ora addosso, con i vestiti lunghi.
A cosa credere davvero?
Seghe dentro le teste, si proiettano diventano fasci
luminosi che sondano la laguna perché fa troppo buio, l’acqua attorno che
sbatte contro la chiatta é solo un balcone su cui ammirare un’arteria della
città.
Più su oltre i nostri nasi c’è una cupola di vetro che ci
racchiude, che racchiude Venezia e fra un po’ cadrà della neve finta. Di
plastica, come i k way dei tursiti, inguardabili abbinamenti cromatici,
inguardabili sandali con calzino, le brutte cose della vita, la nausea che ti
assale mentre ci s’incastra tra le calli con gli ombrelli senza tessuti.
Respirare bene part-time, vivere vite diverse come viaggi
senza prenotazioni, inattesi belli ma
dannati, perché quando se ne vanno le presenze di quei giorni lasciano sagome
da riempire con canzoni malinconiche o accordi da strimpellare.
Tornano a casa per rigenerare i capillari dell’economia di
paese, piccolo nucleo malsano.
Lasciano profumi, proiezioni ed ombre sui muri per farci
l’amore con gli occhi. Sono vite diverse che vengono tagliate di netto da
macellai esperti quali sono i lunedi neri. E’ una guerra fredda, senza emozioni
tra Rialto Ovest e Rialto Est, scalini scivolosi, venditori di rose come
vampiri per succhiarti qualche spicciolo.
Girando a caso, sento anime incastrate tra le calli, anime
perdute di persone che si sono innamorate della Venezia umida, che sa d’urina,
magica di notte, set cinematografico con registri onniscienti e colonne sonore
della tua infanzia che risuonano dall’alto.
Non sono nulla ora, sento solo le unghie che gestiscono la
tastiera, leggero talmente leggero da sparire.
Vorrei trovarmi di fronte al mare per essere investito, per
mischiare il mio respiro con le onde, sincronizzarmi con tutta quella schiuma e quel
sale, verrà un giorno che mi prenderanno
e mi porteranno via per non sentire più niente, per non sentire questo sasso in gola, costretto
ad inseguire responsabilità futili per mangiare
a fine mese.
Sono i tempi bui, i nostri tempi con le nostre volontà
part-time, a scandire con stupefacenti ciò che speciale non è.
Forse solo una cosa mi salva, il pensare, osservare e
ripensare a tutta questa città e ai suoi organi, viviamo negli intestini di
questo rettile umido:
Vedo il ponte
che collega questa Venezia mondo a sé, paese dei balocchi, città per le
generazioni perdute ed innamorate di qualcosa che forse non esiste più,
attaccato al mito, alla storia, a questa idea di amore eterno o romanticismo
distorto o prestigio acquisito, arte ricamata incastonata in vetri soffiati da
abili vetrai, canali di vino scadente, qualche oasi pregiata ma bar zeppi di
vecchi cirrotici o aristocratiche donne con cane profumato a presso. C’è
quel senso magico di sopravvalutata speranza, cultura trasandata con barba
incolta e promiscuità, valori e globuli rossi girati e fumati in consuete canne
serali, ed una costante atemporalità, il vero cancro che ci mangia il fegato,
quadro barocco attaccato con la colla come manifesti in qualche parete che
fanno da sfondo a musicanti di strada con le loro armoniche e melodie tzigane.
Amo questa
città.
L’anima è in
questo labirinto umido, facile perdersi , sbattere contro calli senza
uscita, solo porte di case e balconi agghindati da fiori da ammirare, ci
dedichi del tempo, per ammirare il tutto e poi vai oltre il muro passi le
pareti e vedi questa vedova al culmine della vecchiaia che pulisce tutti i
giorni quella casa con gesti metodici e regolari, che tiene la perfezione
quotidiana con fatica e acciacchi ma tutto è ben saldo legato con scotch, ti
emozioni e sorridi, tenerezza e pena al contempo, per quella donna, per la sua
fatica, per l’inutilità dei suoi gesti che sono diventati l’unica ragione di vita.
Prendi coscienza delle tue risorse nascoste dentro i reni e i tessuti, ti giri
e riprendi la tua strada, tu non sarai mai cosi e questo forse vale la vita.
Solo negli spazi aperti possiamo liberare la nostra
anima soprattutto quando la malinconia cola
dall’alto come miele ricoprendo ogni cosa, riempiendo il paesaggio, con le ali
appiccicose si vola con gli occhi ed è quasi bello soffrire di questo male di
miele.
Cinicinnatus
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