Nascono e muoiono come gli insetti




     NASCONO E MUOIONO COME GLI INSETTI

NASCITA

Oggi ero un’anima vagante nella Venezia collassata dal turismo domenicale di massa; cosi giravo e rigiravo, non trovavo il mio posto a sedere tutti sembravano così già troppo occupati; ho dovuto lasciarmi alle spalle il mondo e spingermi ai Giardini per ammirare il tutto in pace.
Il trucco della vita è sentirsi piccoli, piccoli di fronte al sole, al mare a questi monumenti secolari intagliati e decorati  da artisti ignorati.
Sentivo come al solito d’essere in preda alla forza della malinconia, un nodo alla gola stretto, era la mia anima che con i propri pugni chiusi e le unghie stringeva la gola nel tentativo di uscire da questo corpo cosi troppo pesante in cerca di leggerezza, fluttuare nel vento, pattinare sull’acqua.
Questo palombaro con troppi sassi in pancia e kg di lacrime nelle orbite, libero e solo.
Avrei desiderato averti lì con me, non avere il tuo corpo o le tue labbra ma solo averti davanti e sentire la tua voce, vederti nella cornice che mi racchiudeva.
Son dovuto tornare a casa per scrivere per dare un senso a questa domenica insipida ma almeno avevo le braccia che sapevano da sale.
Penso alla vita, penso alla mia, ai miei progetti di cartone, agli insuccessi, alle risorse limitate e alle necessità infinite e questo costante andare e andare sempre in cerchio per poi fermarsi solo qualche volta e solo per un po’ per apprezzare qualcosa.
E poi venne la sera e camminavo da Piazzale Roma incappucciato dal freddo gelido verso casa, gettavo sguardi per ingannare il percorso, c’era la stazione ferroviaria acciaccata, a pezzi, distrutta e provata da milioni di piedi, ma domani sarà in forma e affascinante come sempre.
Sentii una tristezza infinita sotto forma di brividi, nei miei occhi qualcosa doveva piangere, non so se le baracche dei venditori ambulanti con quelle merde di souvenir, quei tavolini colmi di cibo e persone lungo la sponda del canale, o le gondole vestite e abbandonate col guinzaglio, o il penoso Burger King, o i Bangladesh con i loro led volanti del cazzo…
Tutto era cosi decadente, miserevole e commovente, col vento, col freddo, con la notte a Venezia.
Arrivai a casa. E ora son qua che ho bisogno di scrivere per dormire
Di scrivere che ho sentito l’odore di primavera in quel vento
Che ho voglia di sorridere di più , Che aumenterò le dosi di magnesio
Che vorrei viverti meglio e capire chi sei. E portarti su quella panchina dell’Arsenale. 
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      Morte

Si schiudono dalle uova, sentimenti che nascono da questo clima tossico, storie come insetti, dello stesso peso e bellezza, colpa di questo caos culturale, del culto dell’estetica del gesto e del nulla, dev’essere  l’effetto serra o l’allineamento dei pianeti  o la luna nera ad influenzare la bocca e le parole della gente, non si capisce più niente ed Agosto rimarrà sempre il mese più freddo dell’anno.
Queste storie continuano a correre con le piccole zampe lungo  le schiene della gente, pungono ogni tanto, il prurito, la pomata e si ritorna a correre vaccinati con gli anticorpi più in forma di prima talmente affamati che si mangiano qualsiasi cosa senza apprezzarla.
Storie come queste, nascono e muoiono dopo qualche giorno come gli insetti, muoiono dopo un pò dopo essersi nutriti della sensazione subito senza aspettare che finiscano tutti quei cinque minuti della canzone che si dedica o quella pagina del libro che si sta leggendo.
Storie qualsiasi non importa darle un nome o un colore.
Scritti come questo nascono e muoiono come gli insetti, si fanno dimenticare facilmente, io l’ho voluto imbalsamare e tenere sotto  una teca di vetro per mostrarvelo nei musei più scabrosi della città.


Cincinnatus

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