Per respingerti in mare

E’ difficile sopportare e vivere con l’idea che oggetti di vita quotidiana mi sopravviveranno.
Oggetti banalissimi come armadi, letti, cornici, penne, occhiali ma anche Noventa Padovana, Albignasego, Preganziol, Lugo.
Ho scelto di vivere a Venezia dove anche qui tutto finirà veramente prima o poi.
Anche lei morirà come me e voi, ed è dolce pensarla così stando seduti in una panchina a Zattere che si abisserà.
Ho ancora ques’idea che si aggrappa con le unghie alla gola, quest’idea di te, del tuo profumo che si distingue nelle calli; ti sento ancora chiusa in me, un eco, lontanissimo frammento cosi lontano che sembri infinito, cosi lontana che non sembri mai esistita.
Eppure il mio pc è gonfio di foto nostre, com’eravamo bellissimi e perdenti.
Ho ancora quest’idea di comunicarti dove sono, che canzone ho scaricato, che band nuova ti metterò su un CD, dove dormo, come lo faccio e con chi non  lo faccio. Ti spedisco in silenzio il tutto col pensiero, arriverà sotto casa tua al civico che non ricordo o forse ad un indirizzo nuovo.
Siamo a soli 30 km ma è anche una vita fa.
Hai infettato la mia camera di campagna, non ho più una patria, non ho più un letto né una cucina e capisco solo ora come può essere vera ed umile la vita, quella vita facile invece che assumevo in quantità industriali in bustine da sciogliere sotto la lingua una volta al giorno si è esaurita . Ora setaccio questa vita essenziale con un passino e mi nutro di scorze e di sensazioni contingenti, di scintille umane, ma sono solo anticipazioni, solo barlumi non c’è sostanza , si perché i rapporti umani dipendono dall’allineamento dei pianeti.
E poi c’è questo scorrere costante di un fiume di persone sotto la mia finestra, li sento, li guardo che brutte facce!!! Sono solo pecore e formiche idiote telecomandate da cartine turistiche da 5 euro e da segnali scritti a pennarello sui muri “Rialto e San Marco”.
Loro non sono niente a confronto a ciò che eravamo eppure tutto si è rotto, non ci capivi un cazzo dei miei discorsi e la nausea mi assaliva.
La Nausea è accorgersi di esistere solamente esistere come le penne e gli armadi e i vaporetti e i cartelli stradali, è sentire che tutto è nel suo giusto ordine, tutti in fila un’ora per un biglietto, in coda per andare a sudare nei centri commerciali, è sentirsi dentro ad un meccanismo già scelto, già scavato da qualcun altro.
La Nausea è soffocare è pizzicarsi le gambe per distrarre la mente dal vomito.
Ora non ho tempo per sentire la Nausea, ho troppa fame, troppo sonno, troppo voglia di bere, non ho tempo per le velleità, per i vestiti nuovi, per il cinema nei week end piovosi, per le code in tangenziale verso il mare, per le fiere paesane che puzzano di carne alla griglia, per aggiornare il social network con gli autoscatti dell’amore.
Guardati indietro, guarda i miei e i tuoi amici, guarda quelle coppie, loro non sono niente in confronto a ciò che eravamo noi eppure qualcosa si è rotto e non trovo senso alla mia storia.
Loro mi sopravviveranno si anche loro ma sono solo pantaloni, macchine, occhiali firmati, frasi d’effetto scritte nelle dediche per stupire con l’amore dei fuochi artificiali, Jovanotti e Ligabue e le altre cazzo di canzoni commerciali; anche loro si mi sopravviveranno.
Ho ancora quest’idea di te che mi abita le orbite, di te e me seduti qui un anno fa; e c’è qualcosa qui a Zattere in questa panchina che mi fa lacrimare gli occhi, devo ancora capire se è quella canzone degli Eva Mon Amour, le tue tasche per le mie mani o l’irritazione provocata da lenti.
Nel mio petto sempre più scarno è rimasta una sagoma e sul mio collo un calco, lo usavi per appoggiarti e dormire con me, ci sono giorni pesanti senza il tuo peso sono quei giorni in cui ho voglia di correre, di sentire freddo.
Fluttuano nell’aria quei gabbiani avidi dal becco rosso, volano verso le centrali chimiche di Fusina, la dove va a spegnersi il sole, amo osservarli e prendere il volo. Amo venire qui per respirare il sale, per stimolare la melatonina, per sciogliere quel sasso freddo di nichilismo imperante che è chiuso in me.
Io sono qui anche oggi seduto su quella panchina la condivido con una coppia di 50enni francesi; lei penso abbia la malaria, tossisce, lui resta zitto a fissare la Giudecca ripercorrendo gli anni felici della sua infanzia.
Non so se sia amore il loro, credo di no, l’aria che tira mitiga il caldo ma loro sono vestiti troppo e stanno troppo in silenzio e non si toccano, penso proprio che non sia più amore il loro;
io do loro le spalle, fumo, ho il mio libro, controllo il mare, le sue onde, tutto viene a galla ciclicamente pezzi di vita, pezzi di braccia, costumi da slacciare, scarpe turchesi, braccialetti, magliette che sventolavano sul bagnasciuga in burrasca, magliette comprate ai concerti ogni Luglio, biglietti per scomode logge, i tuoi occhi e le tue lentiggini, tutto galleggia per un po’ e poi decido di respingerlo in mare e mi giro dall’altra parte, là dove passa la gente anziana che starnuta con addosso piumini fosforescenti che rincasano;
La musica  di Brondi mi riempie di malinconia, c’è ancora il tuo profumo tra le mie dita, mi sento leggero e triste; la coppia cominciò a parlare assieme, avevano aperto una cartina di Venezia e cercavano la giusta via, io avevo voglia di scriverti questa lettera di non amore l’ultima lettera per l’ultimo mio vero amore.


CINCINNATUS

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