Alla prossima scendo

Non c'è storia più bella, Non c'è tramonto sul mare o storia d'amore che tu possa scordare, ti ho aperto le porte e tu come d'incanto mi hai fatto impazzire, ma il viaggio è finito alla prossima scendo per mai più risalire, perchè sei bella si ma con te si può solo morire

jim morrison

Apro con una citazione di un grande poeta perchè mi pare perfetta per questo scritto che ho sentito mio ma anche per tutti coloro che amano il viaggio, l'amore, la malinconia, il ricordo, il passato

E mi ritrovo ancora una volta in questo treno regionale, a compiere la stessa tratta che per anni soprattutto per ragioni universitarie mi ha scandito gli sguardi.

Ormai so tutto a memoria, ormai mi sono abituato, dietro quel ponte di vecchi mattoni c’è una palestra, dietro a quel tunnel un terreno con scritto “vendesi”, vicino alla vecchia autofficina una concessionaria macchiata di ruggine tagliente.

Ampi spazi ricoperti da ciottoli tutti uguali e disseminate un po’ ovunque riconosco quelle macchine per formare i binari, non le ho mai viste realmente in azione ma m’immagino che questo sia il loro compito principale, me le immagino così, anzi sono convinto servano per questo, sono convinto anche senza aver visto, pericolosa credenza ma il mondo è pieno di pericolosi credenti, ci circondano ovunque con le loro preghiere anch’essi arrugginiti come le macchine della ferrovia.

Colori ammaccati, ammassi di ferro ovunque e anche queste macchine giallognole e sporche di fuliggine sono ferme, immobili, abbandonate come qualsiasi cosa ormai nella vita del uomo moderno.

Il treno sfila lentamente in questo teatrino senza vere palpitazioni, è tutto così mortalmente immacolato, tutto così immobile, fermo da anni; le stesse macchine nelle stesse posizioni, sempre quelle case con le stesse tinte enigmatiche, pasticciate da murales ed io invece mi sento l’unica cosa veramente consumata.

Io si proprio io, io mi sento sicuramente più vecchio, mi guardo la mano più callosa, più consumata, riesco perfino a scoprirla ingrandita dall’ultima volta che me la sono vista.

C’è un vento freddo di sconfitta, tipico delle stazioni con le loro sporche gallerie, c’è un vento grigio anche dentro di me che mi ristagna nella gola e ci sono invece i binari che scottano, che nonostante tutto ciò riescono a scottare.

Mi vedo in quel binario 5, in quel binario 3 o nel primo, eccomi là nella diverse stagioni ad aspettare ragazze diverse per differenti scopi: una serata al cinema, un week end di sesso, una giornata da fidanzati.

Il bello è che erano quegli stessi binari ad unirci, come capillari collegati ed intrecciati tra loro per formare quella ragnatela gigante nella quale spesso ci impigliavamo e tutt’ora ci impigliamo; quegli stessi binari caldi sempre ardenti forse anche troppo.

Ciò che mai cambiava ero io ed il senso che io davo a tutto ciò, all’incontro tra due essere i per forza speciali, sicuramente liberi, all’attesa che ti faceva urinare, all’entusiasmo di cambiare anche se per poche ore i protagonisti della tua realtà per avvicinarla al sogno e alla potenza del particolare, dell’anomalia che avrebbe poi bruciato tutta la stazione e la mia vita.

Non cambiavano nemmeno le mie parole perché volevo sapere di sigillare quel momento, quell’attimo tutto per noi con la complicità e la corrispondenza; questo fu essenzialmente il mio errore: cercare di costruire qualcosa di perfetto, ma ora sono e non solamente grazie al Niccolò Fabi di turno che costruire “è sapere di potere rinunciare alla perfezione”.

Volere fortemente affogare nel miele invece di vivere intensamente ciò che bisognava volevo prima di tutto la pariglia, volevo la condivisione dei beni, volevo una situazione dannatamente romantica non sapendo che l’esteta fanciullino che è in noi poteva risolvermi i crucci da dannato romantico ed illuminarmi egoisticamente.

Sono state scritte canzoni su canzoni sui classici cliches del treno che parte e che arriva e che riparte per poi tornare la settimana prossima, fra due o tre mesi o probabilmente mai più e tu con le mani più grandi di prima, tu che ti vedi nelle diverse stazioni, con diversi vestiti e diverse erezioni non riesci ancora ad abbattere quei crucci del passato fottutamente alti come cipressi. Nessun macete potrà aiutarti forse solo la penna o l’arte lo potrà fare.

Le parole preferisci evitarle anche se te le ricordi perfettamente, le dediche nelle melodie pure anche se sono qui stampate in fronte come l’Infinito di Leopardi, le storiche canzoni cerchi di rimpiazzarle con delle nuove anche se le loro bellissime strofe le conosci a memoria e basta un niente, basta un suono, basta uno spillo profumato, basta un raggio di sole o un coltello di vento nella nuca, basta quella gocciolina proprio nella guancia, basta un timido profumo nel caos della calle, basta un cruccio verde ed umido, basta un granello di sabbia che non si stacca dalle dite dei piedi e il nostro passato è ancora attaccato a noi, come una sanguisuga nel braccio, come la tigre di Bukowski attaccata alle spalle, ci tormenta.

Magari poter lavar via questa macchia sulla pelle con una strofinata, magari cancellare questa poesia sul braccio, o il segno delle labbra sul collo, magari....la verità è che il mare della malinconia mai si ritirerà, mai si allontanerà definitivamente da noi, noi che siamo quella sabbia umida vicino alla riva noi che ciclicamente soffriamo di un qualcosa, noi che in base alla stagione, ad un semplice fottuto numero sul calendario affondiamo sott’acqua.

Eppure la sexy malinconia di tutte questi ricordi artici ed ormai cristallizzati riscalda la gola e quel vortice fresco che dosa l’ossigeno, ci riscalda intensamente, da calore a tutta la struttura e l’anima nera si gonfia di vita.

E’ una trappola e allo stesso tempo una terapia morire nel nostro passato altrimenti non mi potrei spiegare quel calore che fa scottare i binari, l’evoluzione delle mie mani un po’ più tozze, grosse e callose di ieri e a quel sorriso amaro che quella cornice riesce a strapparmi per portarselo via chissà dove e chissà ancora per quanto.

E’ una vera e propria accelerata di vita che hai bisogno per sentirti qualcuno, qualcosa o semplicemente più vecchio per qualcosa o per qualcuno, è una scossa improvvisa, un galoppo immediato proprio come questo treno quando riprende a correre sfrecciando sulle rotaie, il vocio delle persone di perde nel baccano collettivo, tutto scorre nel vetro che hai di fronte come su una pellicola, tu sei di nuovo dentro a quel film che hai amato ed odiato per anni e che amerai ed odierai per forza fino a quando il tuo treno preferito comincerà a decelerare per poi fischiare e fermarsi.

E’ o non è la tua fermata?

Magari la sua, quella di quel tipo quadrato laggiù, o della tipa con il thermos del thè qui davanti, della suora che ha il suo momento di gloria fuori dal convento, della stronza con gli abiti firmati, di quello che parla a voce alta da un’ora al telefono, di certo non la mia io vorrei continuare, voglio continuare ad andare perché se smonto e lascio la stazione le strade di campagna mi uccideranno, lì con le case tutte incollate, la vecchia popolazione con l’alito pesante, le macchine incastrate come lego ovunque, tutto sembra esplodere e collassare, lì con lo sguardo basso, i prati occupati, gli spazi intasati e cemento armato scadente, lì niente orizzonte su cui poter sperare.

Autore: Cincinnatus 20 settembre 2011

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