Un frammento fantasy
Cosa succede se si prova ad inserire tematiche fantasy classiche in un contesto storico molto conosciuto come l'antica Roma? Ho provato con questo piccolo esercizio di scrittura ed il risultato è stato... tremendo. Tuttavia ritengo possa essere una lettura interessante, per questo ho deciso di condividerlo. Sicuramente sarà una lettura veloce.
-Madness-
-Madness-
C’è una città, a questo mondo, che non cambia
mai. Esiste in ogni tempo del mondo, in ogni iterazione del mondo. Essa è Roma,
dalla sua fondazione in poi qualunque diramazione del destino questo mondo
abbia intrapreso lei è sempre esistita, sempre uguale a se stessa. In una certa
versione di questa città, in un tempo indefinito, c’è un uomo che dal balcone
della sua casa osserva il cielo, impaziente. Mentalmente ripercorre le sue
gesta, è stato un grande condottiero, da soldato semplice ha scalato il potere
militare fino ai vertici ed ora si trova li per reclamare ciò che già sente
suo, il Trono di Roma.
Ormai dovrebbe essere una pura formalità, è
diventato un eroe famoso in ogni angolo dell’impero e grazie a questa
popolarità ha ottenuto l’appoggio del Senato, però per essere nominato
ufficialmente imperatore deve attendere un segnale dal cielo, letteralmente.
Da tempo immemorabile il potere imperiale viene
assegnato a colui che viene ritenuto degno da un messaggero divino a cavallo di
un Drago ed è esattamente ciò che il futuro imperatore sta aspettando.
Ormai spazientito decide di scendere sulla
Piazza Grande davanti al Palazzo Imperiale. Attraverso un grande corridoio
ornato dai ritratti di tutti i suoi predecessori ripercorre la storia
dell’impero, almeno quella conosciuta. La memoria storica di tutti i popoli si
ferma al Grande Incendio, quando le fiamme avvolsero tutto il mondo quasi
sterminando l’umanità e cancellando ogni memoria degli eventi precedenti.
Il futuro imperatore indugia su questi pensieri
osservando il ritratto del primo imperatore, colui che si eresse dal fuoco e
che ricostruì la città, il cui nome però rimase ignoto.
Sente grida e rumori provenire dalla piazza e
capisce che finalmente il momento è giunto. Esce dal grande portone principale
ad osservare la piazza rotonda gremita di gente. Una grande ombra oscura il Sole,
il centro della piazza viene velocemente sgomberato, in un attimo una enorme
creatura alata scende dal cielo e si posa dolcemente sul suolo di pietra. La
creatura è enorme, ricoperta di scaglie grigie da sembrare una statua in
movimento, le grandi ali vengono ripiegate ai fianchi e dalla schiena scende
una figura umana.
E’ un uomo alto, vestito di un’armatura grigia
del tutto simile nell’aspetto alle scaglie del Drago, porta una grande arma
sulla schiena e un lungo oggetto tra le mani.
Si avvicina a passo lento al futuro imperatore,
mentre i due si fissano la folla si zittisce, l’atmosfera si carica di
tensione. Il Cavaliere del Drago si toglie l’elmo rivelando un volto rosso e
segnato dal tempo. Infine parla:
“Carlo Tiberio, generale dell’esercito di Roma
ed eroe del popolo, ti sei rivelato degno di governare questo mondo, accetti
questo onore ed onere?”
“Certo”
“Allora impugna l’arma che è stata forgiata per
te, sarà il simbolo del tuo potere e del tuo valore. Essa vivrà insieme a te,
rifletterà la tua forza e la tua determinazione.”
Il cavaliere porge l’arma all’imperatore che la
prende dalle mani non senza sforzo.
“E’ pesante” dice.
“Quest’arma è stata forgiata con le fiamme del
Drago, ha un potere eccezionale ma il portatore deve essere in grado di
brandirla. In guardia”
Il cavaliere del Drago sfodera la sua arma, una
grande spada nera. L’imperatore a sua volta sguaina la sua nuova arma,
anch’essa una spada di metallo nero, la impugna a due mani ma è a malapena in
grado di sollevarla. Il cavaliere attacca con un fendente verticale,
prontamente parato. L’imperatore risponde con un ampio movimento orizzontale
che lo lascia con le spalle scoperte, viene colpito dal cavaliere alla schiena
e finisce in ginocchio. L’imperatore tenta di rialzarsi appoggiandosi alla spada
ma la lama nera all’improvviso si polverizza lasciando solo l’elsa.
“Questo sarebbe il grande condottiero tanto
osannato dal popolo?” dice il cavaliere “se non sei in grado di brandire
quell’arma non puoi governare. Non sei nemmeno degno di batterti con me, ti ho
colpito con il piatto della spada e ti ho messo in ginocchio. Vattene e porta
con te il tuo disonore, rappresentato da quell’elsa che ancora tieni in mano”
Il cavaliere si allontana visibilmente alterato,
da quando è iniziata quella tradizione era capitato solo altre tre volte che il
candidato non si fosse dimostrato un degno combattente.
“Tornerò quando si paleserà un altro guerriero
degno del ruolo di regnante” dichiara il cavaliere, poi sale in groppa al Drago
che con un potente battito d’ali si solleva dalla piazza, allontanandosi in
fretta verso nord.
Il fallito imperatore Carlo Tiberio infine si
alza in piedi, sa che ha ricevuto il massimo disonore quando il suo avversario
si è rifiutato di continuare il combattimento. Lentamente si avvia verso le sue
stanze meditando vendetta.
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